04 Gen Quello che ci aspetta – S04E01
–304 giorni alle elezioni presidenziali statunitensi
–30 giorni ai caucus dell’Iowa
Nella notte tra giovedì e venerdì un drone statunitense ha colpito un convoglio di auto che aveva appena lasciato l’aeroporto di Baghdad, in Iraq, uccidendo tra gli altri Qassem Suleimani, uno degli uomini più potenti del mondo. Suleimani era il capo delle Forze Quds, un corpo speciale delle Guardie Rivoluzionarie iraniane, ma questa è una definizione che dice poco; alcuni hanno paragonato questo attacco a quelli con cui gli Stati Uniti hanno eliminato Osama bin Laden o al Baghdadi, ma è un grosso errore. Proviamo a essere più precisi: è come se l’Iran avesse fatto fuori in un colpo solo il direttore della CIA, il capo delle Forze speciali, il segretario di Stato e il primo consigliere del presidente. Un atto di guerra, di fatto.
Nessuna persona al mondo era coinvolta quanto Suleimani in un numero sconfinato di guerre e violenze, e pochi quanto lui avevano la responsabilità diretta di così tanta sofferenza. Dal truce assedio di Aleppo, in Siria, alla guerra civile in Yemen, dalla destabilizzazione dell’Iraq e del Libano, tutte le operazioni militari delle milizie sciite iraniane sono state decise e guidate da Suleimani. Non era un personaggio particolarmente visibile – non siete ignoranti se non lo avevate mai sentito nominare – ma non pensate che queste cose si dicano solo oggi per ingigantire l’importanza della sua morte: sul Post già nel 2013 lo definivamo “l’uomo più potente di cui non avete mai sentito parlare”. Lo era.
L’ordine di ucciderlo è arrivato direttamente dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Le ragioni addotte sono difensive – Suleimani aveva ordinato moltissimi attacchi contro soldati americani – e di deterrenza. Pur potendolo fare, però, né il presidente Bush né il presidente Obama avevano deciso di eliminarlo: pensavano che farlo fuori non avrebbe fermato le violenze e le provocazioni iraniane e anzi avrebbe fatto crescere il rischio di una guerra tra Stati Uniti e Iran. Anche per questo la decisione di Trump è stata sorprendente ed enorme, oltre che straordinariamente pericolosa, e non è chiaro se il suo governo abbia una qualche strategia. L’ayatollah Khamenei non ne esce per niente bene – soltanto tre giorni fa scriveva con una certa boria che «Quel tizio [Trump] non può farci niente» – ma non è chiaro soprattutto come ne esca il resto del mondo.
L’Iran è fragilissimo dal punto di vista economico, la teocrazia sta affrontando le più dure contestazioni popolari della sua storia e non può che avere la sua sopravvivenza come obiettivo supremo: risponderà con qualche attacco mirato contro gli interessi statunitensi, magari per il tramite di milizie e nazioni alleate, ma non può permettersi una guerra contro gli Stati Uniti. È proprio questo, però, che preoccupa molti analisti: l’idea che l’amministrazione Trump possa convincersi che dopo aver fatto di tutto per destabilizzare l’Iran fin dal primo giorno – dalla fine degli accordi sul nucleare in giù – oggi una guerra contro l’Iran sia possibile, che si possa vincere. Che sia utile e che questo sia il momento. Intanto il Dipartimento di Stato ha invitato tutti gli americani in Iraq a lasciare in fretta il paese, e qualche migliaio di soldati statunitensi è partito per raggiungere l’area.
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Ciao, e bentornati. State leggendo la prima newsletter della quarta stagione di Da Costa a Costa, che comincia nel segno di una nostra vecchia tradizione: la grossa notizia che il venerdì mi costringe a ribaltare tutto il lavoro fatto fino a quel momento. Qualche comunicazione di servizio, e poi riprendiamo il filo del discorso.
1. La quarta stagione di Da Costa a Costa andrà avanti per tutto il 2020. Da Costa a Costa ora ha un sito.
2. Da Costa a Costa è composto da una newsletter e da un podcast. La newsletter, che è quella che state leggendo, uscirà ogni sabato. La userò per raccontare e spiegare la campagna elettorale, i fatti che la condizioneranno, le proposte e le strategie dei candidati, le opinioni e le esigenze degli americani. Nel podcast, che è prodotto da Piano P e uscirà un sabato sì e un sabato no, ci allontaneremo dalla stretta attualità: lo userò per raccontarvi grandi storie del presente e del passato, che possono aiutarci a mettere in un contesto più ampio la cronaca febbrile della campagna elettorale, e conoscere meglio gli Stati Uniti d’America.
3. Se vi interessa conoscere meglio gli Stati Uniti d’America, può interessarvi il libro che ho scritto. Ho messo insieme tutto il materiale raccolto in anni di lavoro e di viaggi in giro per l’America, tutte le storie, le idee, le cose che ho letto, studiato e imparato, le conversazioni che ho avuto in giro per il paese, in un libro che si intitola Questa è l’America. Non è un libro di politica, anche se ovviamente se ne parla: ma chi conosce solo la politica non sa niente di politica. Non è nemmeno una raccolta di newsletter e podcast già usciti: è una cosa nuova e scritta da zero. È un libro che prova a colmare il divario tra quello che crediamo di sapere e quello che sappiamo davvero sugli Stati Uniti, e capite benissimo che quest’anno riuscire a colmare questo divario può essere più importante che mai. Il libro esce il 28 gennaio ma potete già pre-ordinarlo su Amazon e su tutte le librerie online. I pre-ordini sono importanti per un nuovo libro, e moltissimi di voi lo hanno già fatto: grazie.
4. Naturalmente vi racconterò anche i miei viaggi sul campo, a partire da quello che farò il mese prossimo in Iowa e in New Hampshire, gli stati dove cominciano le primarie del Partito Democratico. In estate andrò poi in Wisconsin e in North Carolina. Se sei nuovo (benvenuto!) e vuoi farti un’idea su questi viaggi, prova a cominciare dai miei podcast del 2017 su Texas, Michigan e California.
Detto questo: fine delle comunicazioni di servizio, e torniamo alla nostra storia.
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Non sappiamo ancora che conseguenze avrà nel mondo l’uccisione di Suleimani. E sulla campagna elettorale?