22 Feb Il trauma – S04E08
oggi si vota nei caucus in Nevada
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Tre settimane fa a quest’ora ero un po’ in pensiero all’idea di passare negli affollati aeroporti globali di Londra, Boston, Chicago e Washington ma poi il coronavirus è arrivato a Codogno e Casalpusterlengo, e questo è Da Costa a Costa.
«Non è un caso se le due cose per cui il Nevada è famoso in tutto il mondo – Las Vegas e l’Area 51 – giocano con le nostre idee di vero e falso, di reale e inventato, di autentico e posticcio. Il Nevada, infatti, è quasi vuoto. È grande quasi quanto l’Italia intera ma ha meno abitanti della sola provincia di Milano; molti di questi peraltro sono concentrati proprio a Las Vegas e a Reno, che sono vicinissime ai confini con la California e l’Arizona. Il resto è deserto disabitato, terra arida crepata dalla siccità – è lo Stato più secco d’America – e circondata da grandi montagne, divisa da poche strade lunghe e dritte che conducono verso gruppetti di case che fingono di essere piccole città, e ranch distanti decine di chilometri l’uno dall’altro. Questi ranch, poi, non è che possano produrre moltissimo: d’estate la temperatura sfiora i 50 gradi e d’inverno scende ampiamente sotto zero. Il settore agricolo si limita alla coltivazione di meloni, cipolle e patate, mentre qualcuno alleva addirittura dei cammelli. Col bestiame è ancora più complicato, ma c’è chi ci prova lo stesso: e uno di questi allevatori, che si chiama Cliven Bundy, si trova da anni al centro di una contesa legale che a un certo punto è diventata un assedio armato, e lo ha fatto diventare un simbolo dell’ostilità di un pezzo di America nei confronti del governo federale di Washington, di qualsiasi colore politico sia. Anche perché, contro ogni apparente buon senso, l’assedio alla fine lo ha vinto lui.»
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Gli elettori del Partito Democratico oggi tornano a votare alle primarie: in Nevada, uno degli stati più quintessenzialmente americani. Cosa succederà? Chi è in vantaggio? Sono possibili colpi di scena? Tra poco vi dico tutto, ma se volete capire cos’hanno in testa gli elettori del Partito Democratico davanti alla scelta della persona da opporre a Donald Trump vi consiglio di ascoltare la nuova puntata del podcast, appena uscita. È in questa puntata, infatti, che vi racconto quello che ho capito passando due settimane in Iowa e New Hampshire, saltando da un comizio all’altro e da una città all’altra, costantemente circondato da centinaia di militanti, attivisti e semplici elettori.
Il podcast lo trovate come sempre sull’app Podcast del vostro iPhone, su Spotify, su Google Podcast, su Spreaker, su iTunes, insomma, ovunque.
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In Nevada si vota con il metodo dei caucus, come in Iowa. Vuol dire, in breve, che per votare bisogna trovarsi a un orario specifico al seggio e destinare almeno un’ora – ma spesso due – alle operazioni di voto, e vuol dire che il voto è palese: questo porta ai seggi soprattutto le persone più motivate, e rende i sondaggi particolarmente complessi. Una volta arrivate al seggio, le persone si dividono in gruppi: quelle che stanno con Sanders da una parte, quelle che stanno con Buttigieg da una parte, quelle che stanno con Warren da un’altra parte, eccetera. I gruppi composti da meno del 15 per cento delle persone presenti al seggio devono sciogliersi, e le persone che ne facevano parte scegliere altri candidati; oppure possono mettersi insieme, permettendo a uno o più candidati esclusi di raggiungere il 15 per cento. Alla fine ci si conta.
Come in Iowa, il Partito Democratico in Nevada diffonderà quindi tre dati: la conta iniziale dei voti, la conta finale dei voti e la distribuzione dei delegati – il dato più importante – che può differire dalla conta finale dei voti perché è influenzata anche da come sono sparsi i consensi sul territorio. Come in Iowa, si temono guai logistici: il Nevada avrebbe dovuto usare la stessa famigerata app all’origine del disastro dell’Iowa, e hanno deciso di sostituirla con dei Moduli di Google e 2.000 iPad spediti nei seggi. Come in Iowa, possono votare solo gli elettori registrati come Democratici. Al contrario di quanto accaduto in Iowa, invece, in Nevada si poteva votare già da due settimane: bastava recarsi negli uffici del partito, indicare il proprio seggio e poi compilare un modulo indicando almeno tre candidati in ordine di preferenza.
Anche se quanto sopra suggerisce di mantenere una certa prudenza, la sensazione è che vincerà di nuovo Bernie Sanders: i sondaggi (per quel che valgono) lo danno in vantaggio, i suoi avversari hanno fatto capire di gareggiare per il secondo posto, lui ha raccolto le folle più grandi della campagna elettorale e negli ultimi giorni ha anche investito soldi e trascorso del tempo in altri stati, mostrandosi piuttosto sicuro del fatto suo.
C’è un favorito così chiaro anche perché oggi sappiamo un’altra cosa: le primarie in Iowa e in New Hampshire non hanno prodotto un vero anti-Sanders. Pete Buttigieg da quelle parti era andato benissimo, e potrebbe andare più che dignitosamente anche in Nevada, ma il suo gradimento e la sua raccolta fondi non hanno avuto il balzo in cui avrebbe dovuto sperare qualcuno intenzionato a competere davvero sul piano nazionale. Lo stesso vale per Amy Klobuchar. La campagna elettorale di Elizabeth Warren sta collassando – ci torno tra poco – ma lei è stata ottima all’ultimo confronto televisivo quindi chissà che qualcosa non si muova. Joe Biden ha tenuto botta nei sondaggi in South Carolina, dove si voterà alla fine del mese e dove l’elettorato è composto in misura significativa da afroamericani, ma resta molto indietro. In questo momento, insomma, i candidati alternativi a Sanders sono tanti e nessuno sta riuscendo a consolidare la sua posizione a danno degli altri. Vedremo cosa cambierà col voto in Nevada e South Carolina, ma è plausibile che si arrivi in una situazione simile a questa al Super Tuesday, cioè a quel martedì 3 marzo in cui voteranno 14 stati contemporaneamente, e si assegnerà ben il 30 per cento dei delegati.
Una fotografia perfetta di questa situazione ci arriva dalla raccolta fondi dei vari candidati. Cominciamo da qui: quelli che vedete qui sotto sono i soldi raccolti da ogni candidato.