Ma quindi, cosa diavolo è successo? – S04E10

–241 giorni alle elezioni statunitensi
–3 giorni alle primarie in Michigan, Missouri e Washington

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La newsletter di oggi non contiene l’espressione “ai tempi del coronavirus”, e questo è Da Costa a Costa.

Come sapete un sabato sì e un sabato no c’è un nuovo episodio del podcast di Da Costa a Costa, e oggi è un sabato sì. Nei sabati sì di solito la newsletter è un po’ più breve – non voglio che vi sentiate sommersi dalle mie cose – ma siccome in questi giorni passiamo tutti più tempo del solito a casa, e le cose da dire questa settimana decisamente non mancano, questa puntata della newsletter sarà bella lunga. Prima di cominciare, però, devo farvi qualche comunicazione di servizio.

Nel rispetto del decreto del governo e soprattutto del buon senso, tutte le presentazioni di Questa è l’America previste fino al 4 aprile saranno annullate, e vedremo più avanti – speriamo di no – se sarà necessario annullare anche le successive. Ho preso questa decisione, anche quando poteva essere possibile rispettare la distanza di un metro tra i partecipanti, perché non voglio che venire a una presentazione del mio libro comporti per voi ansie o timori: recupereremo quando sarà possibile e sicuro per tutti. Se avevate già fatto dei piani, vi chiedo scusa.

Detto questo, la situazione che stiamo vivendo è complicata per tutti: e quindi come potete immaginare, senza le presentazioni e con molta meno gente in giro, anche per chi i libri li scrive, li produce e li vende. Se volete approfittare di questi giorni di minori attività sociali per leggere, prendete in considerazione la possibilità di entrare in una libreria e fare qualche acquisto; se volete limitare al massimo i vostri spostamenti, fatevi arrivare uno o due libri a casa. Io non posso che consigliarvi innanzitutto di comprare il mio, di libro, se non lo avete già fatto, anche perché – lo vedremo tra poco – credo davvero che possa essere utile a comprendere le ragioni di alcune cose che stanno capitando in queste primarie del Partito Democratico; e intanto ne approfitto per dirvi che da qualche giorno l’audiolibro di Questa è l’America è uscito su Storytel. Se volete abbonarvi a Storytel e avere accesso al suo grosso catalogo – che comprende anche tre miei podcast: una stagione speciale di Da Costa a CostaMilano, Europa e The Big Seven – potete farlo attraverso questo link usufruendo così di 30 giorni di prova gratuita invece dei canonici 14.

A proposito di coronavirus: non fate come Michael Bloomberg.

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Veniamo a noi: il nuovo episodio del podcast parla di Bernie Sanders, il grande sconfitto del Super Tuesday eppure uno degli ultimi due candidati rimasti in corsa alle primarie del Partito Democratico, e fino a pochi giorni fa il favorito. La storia personale e politica di Sanders è allo stesso tempo eccezionale e poco conosciuta, perché ne sono diventati noti soprattutto gli ultimi anni eclatanti: ma prima c’è molto altro. Bernie Sanders ha fatto attività politica per oltre quarant’anni da posizioni minoritarie e marginali, in una vita che è stata segnata dalla solitudine – subita e poi cercata – anche dal punto di vista personale. Nonostante questo, non è mai cambiato; e infine, negli ultimi anni della sua carriera e della sua vita, ha trovato il suo popolo. Potete ascoltare questo episodio sull’app Podcast del vostro iPhone, su Spotify, su Google Podcast, su Spreakersu iTunes, insomma, ovunque.

Ascolta “S04E05. L’ultimo giro di Bernie Sanders” su Spreaker.

In questa newsletter vorrei rispondere ad alcune delle domande che immagino vi siate fatti se avete seguito le notizie di questi giorni. Come ha fatto Joe Biden a ribaltare così la sua campagna elettorale, tanto da essere oggi il favorito? È stato tutto un complotto-del-partito? Perché Bernie Sanders è andato così male? Cosa hanno sbagliato Michael Bloomberg ed Elizabeth Warren? Cosa succede ai delegati dei candidati che si sono ritirati? Cosa succede adesso? Quando sarà il momento di parlare di vicepresidenti? Una cosa alla volta, rispondo a tutto.

Cosa diavolo ha fatto Joe Biden?! 
Partiamo da qui: è cambiato tutto con la vittoria delle primarie in South Carolina. Come ricorderete, Joe Biden era stato in vantaggio nei sondaggi nazionali per mesi ma era andato molto male nei primi tre stati a votare, Iowa, New Hampshire e Nevada. Questi tre stati però sono piccoli e demograficamente poco rappresentativi dell’elettorato del Partito Democratico: sono importanti perché votano per primi, ma non votano per primi perché sono importanti. Quindi il comitato Biden diceva: vedrete che quando si voterà in South Carolina, uno stato grande e soprattutto uno stato con una foltissima comunità afroamericana, un pilastro imprescindibile nella composizione dell’elettorato del partito, le cose cambieranno. Non si possono vincere le primarie del Partito Democratico senza avere almeno una parte consistente del voto degli afroamericani.

Negli Stati Uniti c’è un’alta partecipazione al voto degli afroamericani – al contrario dei latinoamericani – e oltre il 90 per cento dei voti degli afroamericani va ai Democratici. Attenzione, però: questo non vuol dire che gli afroamericani siano tutti di centrosinistra, ovviamente. Tra gli afroamericani, come in ogni altro gruppo demografico, ci sono progressisti e conservatori, liberali e statalisti, religiosi e secolaristi. Però votano tutti per i Democratici: per il semplice motivo che i Democratici sono il partito che negli anni Sessanta gli ha dato la fine della segregazione razziale e sono da allora, con tutti i loro limiti, l’unico partito che li rappresenti e li difenda. Dove voglio arrivare: se i bianchi che votano per i Democratici sono in gran maggioranza di centrosinistra, gli afroamericani hanno idee politiche molto eterogenee e quindi mediamente meno radicali di quelle dei bianchi.

Ma è tutto persino più complicato di così: oltre a essere una forza “moderatrice” all’interno del Partito, infatti, gli elettori afroamericani sono anche il segmento più debole e fragile della popolazione, da ogni punto di vista. Chi ha letto Questa è l’America sa bene di cosa parlo, anche al di là del razzismo e delle discriminazioni più visibili. C’è poi un’altra cosa che può sembrare sorprendente, prima di parlare con molti elettori afroamericani, soprattutto al Sud: sono elettori affezionati al Partito Democratico («Se volete un Democratico – un Democratico da tutta la vita! Orgoglioso di esserlo! Un Democratico della corrente Obama-Biden! – allora unitevi a noi», diceva Biden nei suoi discorsi, ricordando che il suo principale sfidante non fa parte del partito e anzi ne è stato a lungo avversario). I principali e più stimati politici locali del Partito Democratico – su tutti il potente deputato Jim Clyburn – hanno detto chiaramente ai loro elettori: si sta con Biden. E poi ce n’è una meno sorprendente: gli afroamericani vogliono liberarsi a tutti i costi di Trump, che li terrorizza più di quanto farà mai con uno studente universitario bianco, e non vogliono correre rischi che potrebbero pagare carissimi.

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