Il mondo ci sta cambiando sotto il naso – S04E13

–220 giorni alle elezioni statunitensi
–10 giorni alle primarie in Wisconsin

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Non avrei mai pensato che la campagna elettorale del 2020 potesse essere più assurda di quella del 2016, e questo è Da Costa a Costa.

Per quasi cinque anni questa newsletter ha raccontato gli Stati Uniti, cioè un posto piuttosto lontano da quello in cui abita la maggior parte di voi. Per quasi cinque anni, quindi, questa newsletter è stata – per me e immagino anche per voi, a prescindere da quando siate saliti a bordo – un modo per aprire una finestra e vedere cosa succede dall’altra parte del pianeta; per informarsi, per conoscere un pezzo di mondo in più. Per evadere a volte, anche.

Scrivere questa newsletter ha avuto su di me lo stesso effetto: a prescindere da come fosse andata la mia settimana, a prescindere dal mio umore e da quello di cui mi fossi o non mi fossi occupato fino a quel punto, il sabato era il momento delle cose americane. E quindi mi dispiace un po’ che, per la prima volta in cinque anni, il racconto delle cose più importanti che stanno accadendo negli Stati Uniti oggi somigli così tanto al racconto delle cose più importanti che stanno accadendo in Italia. Se in questa newsletter cercate un momento di evasione dalle cose del nostro paese, stavolta vi sarò meno utile del solito.

I dati dicono che gli Stati Uniti sono diventati qualche giorno fa il paese col più alto numero di contagi da coronavirus accertati al mondo. Ma sono dati che valgono quello che valgono, cioè poco: così come non abbiamo ancora idea di quanti siano i contagiati in Italia – e secondo il capo della Protezione Civile sono plausibilmente anche un milione – non abbiamo idea di quanti siano davvero i contagiati negli Stati Uniti. E così come non abbiamo idea di quanti siano davvero in Italia i morti per coronavirus, non abbiamo idea di quanti siano i morti negli Stati Uniti. E figuriamoci con quale cautela dovremmo trattare i dati sulla Cina. Chissà quante cose scopriremo tra qualche anno, sia qui che lì.

Il Javits Center di New York è il grande centro congressi in cui Hillary Clinton aveva organizzato la sua election night del 2020. Oggi sta venendo trasformato in un ospedale.

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Il giorno in cui il numero telefonico delle emergenze aveva ricevuto il maggior numero di telefonate dalla città di New York era ovviamente l’11 settembre 2001, fino alla settimana scorsa. Quel record è stato superato martedì. E poi mercoledì. E poi giovedì. Solo nella città di New York i contagi sono quasi trentamila e le persone ricoverate sono più o meno 4.000. Il numero dei ricoverati è raddoppiato ogni tre-quattro giorni. Il sistema sanitario sta già andando fuori giri, e ci si aspetta che raggiunga il punto di rottura alla fine della prossima settimana. Neanche quello però sarà il maledetto picco, secondo le previsioni. Potrebbero volerci altre due settimane. In questo momento lo stato di New York ha circa la metà dei contagi accertati in tutti gli Stati Uniti: è il posto in cui l’epidemia ha colpito più che altrove, ma anche l’unico che probabilmente ha cominciato a fare seriamente i tamponi.

Il governatore dello stato di New York, Andrew Cuomo, ha detto che la città avrà presto bisogno di 30.000 ventilatori per i pazienti che non saranno in grado di respirare autonomamente. Nello stato non ci sono stabilimenti che possano essere riconvertiti, e gli altri stati non sono così disposti a dare una mano, visto che anche loro si stanno preparando al peggio. Dovrebbe intervenire il governo federale, ma Trump giovedì ha detto: col cavolo. Gli stati dovrebbero organizzarsi da sé. «Non credo che gli servano davvero tutti i macchinari che chiedono. Ci sono ospedali che di solito hanno sette ventilatori e ora ne vogliono trentamila? Non credo che gli servano. Comprare un ventilatore è come comprare una macchina. È molto costoso». Qualcuno poi deve avergli dato una botta in testa, e quindi finalmente venerdì Trump ha cambiato linea e invocato una vecchia legge da tempi di guerra per costringere gli stabilimenti automobilistici a cominciare a produrre ventilatori.

La città che non dorme mai.

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Le restrizioni applicate nello stato di New York non sono così diverse dalle nostre. Solo le attività essenziali sono aperte, si può uscire di casa per lavorare, per fare la spesa. Per fortuna si può uscire anche per fare una passeggiata senza che nessuno rompa le scatole, purché si mantengano le distanze: negli Stati Uniti esiste una sensibilità molto superiore alla nostra per l’importanza della salute mentale, di cui Cuomo parla spesso e bene, e un superiore fastidio per la militarizzazione delle strade.

Il resto della storia potete immaginarlo.

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