Elezioni incredibili – S04E16

–199 giorni alle elezioni statunitensi

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Ogni giorno ha la sua task force, e questo è Da Costa a Costa.

Ci sono tante cose che non sappiamo delle elezioni di novembre, e non solo perché mancano sette mesi. Il punto è che non sappiamo come sarà qualsiasi cosa tra sette mesi, e negli Stati Uniti questa situazione creerà una serie di incertezze che avranno bisogno di trovare risposte. Sarà possibile organizzare ancora dei comizi? E dove? Le convention si terranno fisicamente o no? E soprattutto, la domanda che rischiamo di trascinarci per mesi: in quali stati e a che condizioni sarà possibile votare per posta? Nella politica americana oggi non esiste la collaborazione necessaria tra le parti per arrivare a decisioni condivise. E questo vuol dire che nasceranno scontri e liti che saranno risolti non dal Congresso o dalla Casa Bianca ma dai tribunali. Sarebbe una cosa nuova ma non completamente inedita. Non bisogna andare troppo lontano per trovare un’altra elezione presidenziale americana il cui esito è stato deciso dalla Corte Suprema.

Nella nuova puntata del podcast di Da Costa a Costa, uscita stamattina, vi racconto la storia delle incredibili elezioni presidenziali del 2000. Se c’eravate: furono più incredibili di quanto ricordate. Se non c’eravate: non avete idea. Dentro spiego anche perché si dice “too close to call” e perché i network televisivi americani annunciano i vincitori delle elezioni a scrutinio ancora in corso, a volte anche appena iniziato. Potete ascoltare l’episodio su tutte le piattaforme di podcast, da Spotify a Spreaker, dall’app Podcast degli iPhone a Google Podcasts. Ed è gratis, ovviamente, grazie ai tantissimi di voi che con le loro donazioni tengono in piedi questo progetto giornalistico diverso dagli altri. Vuoi contribuire anche tu?

Ascolta “S04E08. Le incredibili elezioni del 2000” su Spreaker.

Per il resto, è stata una settimana piena di cose. Cominciamo.

Joe Biden ha ottenuto il sostegno ufficiale da parte di Bernie Sanders ed Elizabeth Warren, i suoi due più importanti rivali alle primarie, e dell’ex presidente Barack Obama. Niente di tutto questo è davvero sorprendente, ma ci sono un po’ di cose interessanti da dire. Obama aveva fatto sapere già l’anno scorso che, come da prassi per gli ex presidenti, non avrebbe avuto alcun ruolo nella campagna per le primarie e si sarebbe limitato a dare il proprio sostegno a chiunque le avrebbe vinte: ma è chiaro che Biden, che scelse come suo vice e che definisce “un fratello”, sia a lui più affine di Sanders o Warren. Nel video con cui ha annunciato il suo endorsement – in un altro momento i due avrebbero riempito un palazzetto – c’è una prima parte scontata in cui Obama parla dei giorni che stiamo vivendo, una seconda parte efficace in cui Obama parla di Biden, una terza parte meno scontata in cui Obama dice che bisogna superare la sua stessa riforma sanitaria per una più progressista e una quarta parte molto meno scontata in cui Obama cambia tono in un crescendo di incazzatura e disgusto, e spiana il presidente Trump.

Per quanto poi fosse scontato che Sanders e Warren alla fine avrebbero dato il loro sostegno al candidato del Partito Democratico, non era scontato che avvenisse così presto: nel 2016 Hillary Clinton dovette penare molti ma molti mesi in più per avere l’appoggio ufficiale di Sanders, anche quando era diventato chiaro e inevitabile che avrebbe vinto le elezioni. E quel sostegno non era mai stato particolarmente convinto: ancora durante l’estate i delegati di Sanders contestarono ripetutamente Clinton durante la convention del partito, e Sanders pur facendo campagna elettorale per lei non prese mai davvero di petto i più scettici tra le sue file. Stavolta i toni sono stati molto diversi.

«Credo che sia irresponsabile dire per chiunque di noi “Non sono d’accordo con Joe Biden quindi non darò il mio contributo”», ha detto Sanders. «La scelta che abbiamo davanti è molto semplice: vogliamo fare il massimo per spingere Joe verso le nostre posizioni? Oppure vogliamo tirarci fuori e permettere al più pericoloso presidente della storia americana di essere rieletto?». Sanders e Biden sono apparsi insieme in una diretta online – ognuno collegato da casa sua – per parlare di sanità, e Biden ha annunciato la formazione di gruppi di lavoro per mettere in comune programmi e proposte. La mia sensazione è che stavolta le cose andranno diversamente, per più di un motivo.

Il primo è che Biden è molto meno sgradito di quanto fosse Clinton, sia all’ala sinistra del partito sia all’elettorato americano in generale. Il secondo motivo è che gli elettori del partito che arriva al voto dopo otto anni al governo storicamente sono poveri di entusiasmo e motivazioni: un’esperienza governativa così lunga ha dato a tutti un qualche motivo per essere delusi, e il desiderio di restare alla Casa Bianca non fornisce mai una spinta forte quanto l’idea di tornarci cacciando gli avversari. Chi viene da otto anni al governo tende anche per questo a votare più del solito candidati alternativi, che nel 2016 furono Bernie Sanders alle primarie ma anche Jill Stein dei Verdi alle presidenziali. Quando sei all’opposizione, invece, le cose diventano molto più semplici.

Il terzo motivo è che si arriverà al voto di novembre dopo quattro anni di Trump. Nel 2016 l’ala sinistra del partito partecipò con scarso entusiasmo alle presidenziali anche perché la vittoria era data da tutti per scontata: nessuno pensava che Clinton avesse davvero bisogno di quei voti, e quindi perché “turarsi il naso”? Stavolta per i Democratici il pericolo è molto concreto, e moltissimi non vorranno giocare col fuoco. La stessa Alexandria Ocasio-Cortez, la giovane e popolarissima deputata che è la più plausibile erede di Sanders alla guida del movimento, ha detto: «Dal momento che rappresento una comunità di persone molto vulnerabili, una comunità dove questa scelta può fare la differenza tra la vita e la morte, tra essere separati dai propri figli o no, penso che per me sia molto importante sostenere Joe Biden a novembre». Ocasio-Cortez però ha molto insistito sul fatto che Biden non può fare appello a un generico sentimento di unità se vuole i voti dei più radicali, ma deve mostrare cammello.

E ha detto un’altra cosa interessante, Ocasio-Cortez, che ci permette di allargare la discussione: chi oggi negli Stati Uniti ha trent’anni – come lei – sta entrando nella seconda catastrofe finanziaria di proporzioni storiche della sua vita.


A proposito: c’è un nuovo gran podcast di Piano P, su quello che ci aspetta.

Negli Stati Uniti la metà di tutti i lavoratori tra i 16 e i 24 anni aveva un impiego in ristoranti, bar e hotel, che oggi sono in grandissima parte chiusi. Gli studenti universitari hanno perso i loro stage e i loro contratti per lavorare in estate. Chi si era appena laureato e stava cercando il suo primo lavoro è a casa, senza un reddito e senza una prospettiva. Chi aveva appena trovato il suo primo lavoro lo ha perso. Chi aveva appena investito in un’attività è rimasto fermo nella sola compagnia dei debiti: i debiti contratti per la sua attività ma anche i debiti contratti semplicemente per pagare l’università e laurearsi.

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