Don’t try this at home – S04E17

–192 giorni alle elezioni statunitensi

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Buon 25 aprile a tutti, e questo è Da Costa a Costa.

Il governatore della Georgia, Brian Kemp, pensava che avrebbe ricevuto grandi complimenti dalla Casa Bianca.

Tra sabato e domenica scorsi aveva sentito al telefono più volte sia il presidente Donald Trump che il vicepresidente Mike Pence, illustrandogli il suo piano per allentare le restrizioni nel suo stato e riaprire ristoranti, cinema, palestre, saloni di bellezza, parrucchieri, spa e sale da bowling. La sindaca di Atlanta si era arrabbiata quando lo aveva saputo, ma cosa ci si sarebbe potuti aspettare da una del Partito Democratico. Il presidente Trump aveva invece la sua stessa impazienza: d’altra parte la settimana prima aveva dato il proprio esplicito sostegno alle proteste contro i lockdown, scrivendo su Twitter in maiuscolo “LIBERATE MICHIGAN!”, “LIBERATE VIRGINIA!”, “LIBERATE MINNESOTA!”. Non sarebbero serviti tweet per liberare la Georgia.

Lunedì quindi Kemp ha organizzato una conferenza stampa e ha annunciato: la Georgia riparte. Il giorno dopo, martedì, il presidente Trump si è limitato a un commento lapidario: «Kemp sa quello che fa». Quando mercoledì alla Casa Bianca la stampa gli ha chiesto di nuovo cosa pensasse del piano della Georgia, però, Trump ha improvvisamente cambiato idea: «Gli ho detto che non sono per niente d’accordo con la sua decisione». Giovedì ci è andato ancora più pesante: «Non sono felice di Brian Kemp, non ne sono affatto felice». Venerdì è arrivato il colpo di grazia, ovviamente su Twitter: «Non abbiamo mai dato nessun OK a Brian Kemp». Lo ha scaricato, in diretta nazionale.

Sembra che sia andata così. Trump gli aveva effettivamente dato un via libera in privato e un primo apprezzamento in pubblico, ma mercoledì il gruppo di funzionari ed esperti della Casa Bianca che si sta occupando dell’epidemia ha preso il presidente da parte e gli ha detto: è troppo presto. Nel nord della Georgia ci sono alcune contee in cui il numero dei contagi, per quanto limitato, raddoppia ogni quattro-cinque giorni. E anche nel resto dello stato ci sono situazioni delicate. Trump quindi ha chiamato Kemp per chiedergli di ritrattare e annunciare uno slittamento delle riaperture – le stesse riaperture che Trump aveva chiesto e apprezzato, in pubblico e in privato – e Kemp ha detto no. Quindi Trump ha usato le cattive, ma Kemp non ha cambiato idea.

Dire “ve l’avevo detto” non è particolarmente elegante, ma ecco, ve lo avevo detto proprio nella newsletter di sabato scorso. Trump vuole essere visto come l’artefice della ripresa, quando ci sarà la ripresa, ma non vuole correre il rischio di prendersi colpe per quello che dovesse andare storto.

Il tentativo della Casa Bianca è abbastanza chiaro: spingere per la riapertura lasciando però ai governatori la responsabilità della decisione finale, così che se le cose dovessero andar bene il merito sarebbe dell’insistenza di Trump e se invece dovessero andar male la colpa sarebbe degli improvvidi amministratori locali.

Peraltro Kemp ha una storia notevole. È diventato governatore della Georgia nel 2018 dopo aver battuto per un pelo Stacey Abrams, che oggi è una delle persone che Joe Biden potrebbe scegliere come sua vice. Kemp all’epoca era il segretario di Stato della Georgia, avendo quindi l’incarico di supervisionare le elezioni: da anni faceva parlare di sé per gli escamotage burocratici che aveva trovato per cancellare dalle liste elettorali i nomi di circa un milione e mezzo di elettori, soprattutto neri. Una volta candidato, nonostante l’evidente conflitto di interessi, non solo non si era dimesso da supervisore, ma si era inventato un tentativo del Partito Democratico di violare il sistema informatico elettorale, e aveva aperto un’inchiesta.


In questo comunicato di quei giorni, il comitato elettorale del candidato Brian Kemp si congratula con il segretario di stato Brian Kemp.

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Comunque, a parte Kemp, è un tema che ritornerà nei prossimi giorni. Anche South Carolina, Oklahoma, Tennessee e Texas – tutti governati dai Repubblicani: anche questo ve lo avevo detto – hanno annunciato piani per allentare le restrizioni e cominciare a riaprire nei prossimi giorni, pur continuando a raccomandare il distanziamento sociale. Vedremo cosa ne penserà il presidente.

E c’è un altro tentativo che Trump sta mettendo in pratica per attraversare questi giorni difficili: parlare d’altro.


Il secondo episodio di Domani, il nuovo podcast di Piano P sui giorni che verranno.

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Questa settimana, per esempio, ha annunciato su Twitter l’intenzione di interrompere temporaneamente ogni forma di immigrazione legale negli Stati Uniti, allo scopo di dare priorità ai disoccupati americani quando l’economia ripartirà. L’annuncio ha generato agitazione e proteste sia dall’opposizione che dagli imprenditori, ma come spesso accade la portata di questa misura è stata poi molto ridimensionata: sarà sospesa soltanto l’erogazione delle “green card”, i permessi di soggiorno permanenti, mentre ci saranno deroghe per i braccianti agricoli e i lavoratori sanitari. D’altra parte già da qualche settimana gli uffici per l’immigrazione avevano sospeso le pratiche per i visti, per via delle difficoltà nel lavoro durante la quarantena. Non dico che non sia cambiato niente, eh: dico che le cose erano già cambiate.

Più in generale, infatti, una cosa poco raccontata degli ultimi mesi è che l’amministrazione Trump è riuscita a rallentare moltissimo ogni forma di immigrazione negli Stati Uniti, legale e illegale.

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