02 Mag L’altra partita – S04E18
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Vi confermo che oggi è effettivamente sabato, e questo è Da Costa a Costa.
Economia, epidemia; epidemia, economia. Sono le due parole che da mesi ronzano intorno alle nostre giornate e determinano l’agenda politica di tutte le nazioni del mondo. Sarà così per molto tempo ancora. Ma c’è anche una grossa partita geopolitica che si sta giocando, nel frattempo, ed è quella per la leadership del mondo che verrà. Avete presente quando Donald Trump ha spedito degli aiuti all’Italia definendoli «cose che a noi non servono»? E quando sono iniziati ad arrivare gli aerei dalla Cina carichi di ventilatori e mascherine? Sono un pezzo di una storia molto più grande. Se l’ultimo secolo è stato guidato dagli Stati Uniti, infatti, negli ultimi mesi la pandemia ha accelerato trasformazioni e cambiamenti che erano già in corso e potrebbero restituirci, alla fine di questa storia, un mondo diverso. Con rapporti di forza diversi. E la Cina al centro. Occhio, ho detto potrebbero. Da cosa dipenderà?
Ve lo racconto nella nuova puntata del podcast di Da Costa a Costa, che è uscita stamattina e potete ascoltare gratis su tutte le piattaforme di podcast: da Spotify all’app Podcast del vostro iPhone, da Spreaker a Google Podcasts. Se volete, dopo averla ascoltata, lasciate una recensione.
Ascolta “S04E09. Chi guiderà il nuovo mondo” su Spreaker.
Dopo le frasi che hanno fatto scuotere miliardi di teste in ogni angolo del mondo – sulla possibilità di curare il COVID-19 con i raggi ultravioletti e iniettare prodotti disinfettanti all’interno dei malati – Donald Trump ha detto che stava scherzando. Non giudicate frettolosamente questa mossa: è vero, siamo abituati a vedere i politici dire “sono stato frainteso” per tentare di riscrivere la storia dopo un’affermazione imbarazzante, ma non siamo abituati a vederlo fare a Trump. Durante la sua carriera Trump ha detto tantissime cose dell’altro mondo, alcune persino più scandalose di queste, ma gli è capitato raramente di ritrattare e credo solo una o due volte di dire di essere stato frainteso. In queste circostanze di solito Trump rilancia, raddoppia, alza la posta, la dice ancora più grossa. Stavolta no.
Qualcuno alla Casa Bianca ha capito che si stava mettendo male, anche per gli standard di un politico che in questi anni ha battuto la forza di gravità superando errori e scandali che per altri sarebbero stati letali. Quello che per Trump poteva e doveva essere un formidabile vantaggio politico – parlare quotidianamente e solennemente alla nazione guidandola attraverso una crisi epocale, mentre il suo avversario è impegnato a fare le dirette su Instagram da casa sua – in queste settimane è diventato un problema: invece che proiettare coraggio, fermezza ed empatia, come hanno fatto con successo quasi tutti i capi di stato e di governo al mondo, Trump ha usato le conferenze stampa per insultare i giornalisti e gli avversari, per promettere che aiuterà solo i governatori che lo trattano bene e per mostrare una preoccupante ignoranza su un virus che gli americani, chiusi in casa e attaccati agli schermi, hanno imparato loro malgrado a conoscere bene.
Trump non ha preso bene le critiche, e nemmeno la decisione obbligata e sofferta di ridurre le sue dichiarazioni sul coronavirus e la sua partecipazione alle conferenze stampa quotidiane. Dopo la frase sui disinfettanti e i raggi ultravioletti, il 26 aprile ha passato ore a sfogarsi su Twitter. Ha ritwittato ogni genere di account estremista, delirante e complottista, compreso un messaggio con una sgradevolissima immagine deepfake di Joe Biden, e ha scritto una serie di messaggi sconnessi: in uno ha detto che bisognerebbe togliere ai giornalisti i loro “premi Noble” (refuso suo, e probabilmente intendeva i Pulitzer), in un altro ha detto che mangia “hamberger” in camera da letto (altro refuso suo), poi si è lamentato col trattamento ingiusto che dice di subire da Fox News (!). È andato avanti a twittare e ritwittare dal primo pomeriggio fino alle 21. Era il cinquantesimo compleanno di sua moglie Melania.
L’atterrita immunologa Deborah Birx non aveva capito la battuta.
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Donald Trump è evidentemente preoccupato. A pochi mesi dalle elezioni l’economia statunitense è implosa come mai era accaduto nella sua storia, a causa di una catastrofe globale che non dipende da lui ma che lui non capisce, e che non contempla soluzioni rapide né semplici. Chi lavora con lui, pur avendo fiducia nella possibilità di ribaltare la situazione, ha buone ragioni per essere a sua volta preoccupato.
La popolarità di Trump, che era brevemente cresciuta all’inizio dell’epidemia, è tornata a scendere fino al 43 per cento. Una nuova infornata di sondaggi statali lo mostra parecchio dietro Biden non solo in tutti gli stati in bilico – dalla Florida al Michigan, dalla Pennsylvania al Wisconsin – ma persino in posti dove dovrebbe essere largamente favorito, come Ohio e Arizona. Certo, i sondaggi vanno presi con cautela, e mancano ancora molti mesi, ma non è questo il punto: sono sondaggi che stanno preoccupando molto Trump e i suoi. La dimostrazione: lo stesso Trump ha annunciato che i primi stati che visiterà appena potrà lasciare la Casa Bianca sono… Ohio e Arizona.
Ma vi faccio un altro esempio ancora. Uno dei dati più preoccupanti per il comitato Trump riguarda la popolarità del presidente tra le persone con più di 65 anni: un segmento demografico che fin qui gli è stato molto favorevole, e che però è anche quello più direttamente minacciato dall’epidemia. Una rilevazione ha mostrato che tra gli over 65 il gradimento per la gestione di Trump dell’epidemia è sceso di 20 punti percentuali tra marzo e aprile. Secondo l’istituto Gallup la popolarità di Trump tra gli over 55 è scesa dal 56 per cento di gennaio al 45 per cento di questo mese. Di nuovo, prima ancora di capire se e quanto fidarsi di questi numeri, ci basti sapere che il comitato Trump li prende sul serio: infatti due giorni fa Trump ha pronunciato un discorso monotematico alla nazione, organizzato molto in fretta. Qual era il tema? Proteggere gli anziani.