Chi sarà la vice di Biden – S04E21

–164 giorni alle elezioni statunitensi

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Michelle Obama non sarà la vice di Joe Biden, Michelle Obama non sarà la vice di Joe Biden, Michelle Obama non sarà la vice di Joe Biden, Michelle Obama non sarà la vice di Joe Biden, e questo è Da Costa a Costa.

E chi sarà, quindi, la vice di Joe Biden? Sappiamo solo che sarà una donna: lo ha garantito lo stesso Biden. Sul resto, proviamo a ragionare insieme.

L’obiettivo finale di questa scelta è chiaro – trovare qualcuno che possa aiutare il candidato in campagna elettorale ed essere adeguata al ruolo in caso di vittoria – ma non ha senso parlare di nomi se prima non ci mettiamo d’accordo su quali sono i criteri che la orientano. Innanzitutto perché non sono sempre gli stessi, e tra poco vedremo come. Ma soprattutto perché è una scelta in cui i rischi superano straordinariamente le opportunità.

Vado a memoria ma – a parte forse Lyndon Johnson – non credo ci sia mai stato qualcuno la cui vittoria alle elezioni sia stata attribuita alla forza del suo candidato alla vicepresidenza. Nessuno pensa che Donald Trump abbia vinto le elezioni per merito di Mike Pence, o Barack Obama per Joe Biden, o George W. Bush per Dick Cheney, eccetera. D’altra parte, però, esistono casi di candidati che sono stati fortemente danneggiati dalla persona che hanno scelto come vice. È il caso di Sarah Palin con John McCain, per esempio. Ma anche Spiro Agnew, il vice di Richard Nixon, fu così disastroso da dimettersi. E Thomas Eagleton nel 1972 dovette rinunciare dopo appena diciotto giorni dalla nomina, quando venne fuori che era stato sottoposto all’elettroshock (che storia, lo so).

Insomma, la prima fondamentale caratteristica di una persona candidata alla vicepresidenza è che non deve fare danni: non deve avere scheletri nell’armadio, non deve mettere in imbarazzo il candidato, non deve dare argomenti agli avversari. È molto meno semplice di quanto sembri. Inoltre questa persona dovrebbe essere credibile anche come presidente, qualora si rendesse necessaria una successione: e nel caso di Joe Biden, che ha 77 anni ed è candidato durante un’emergenza sanitaria che colpisce gli uomini anziani più di chiunque altro, questa esigenza è cruciale. L’eventuale inesperienza della sua candidata alla vicepresidenza diventerebbe tema di discussione per mesi. Ogni eventuale gaffe della suddetta candidata diventerebbe un caso. Ogni intervista sarebbe disseminata di domande-trappola (“Come si chiama il primo ministro del Pakistan?”).


Sarah Palin disse che era esperta di politica estera perché dall’Alaska poteva vedere la Russia, e poi non seppe nominare una sola rivista che leggesse.

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Premesso tutto questo, non ci sono scelte obbligate: ogni candidato deve valutare di cosa ha più bisogno e quindi che tipo di vice può dargli una mano. È una scelta puramente politica.Si può scegliere un vice perché compensa i punti deboli del candidato, se quella viene considerata la cosa più urgente da fare: è il motivo per cui Barack Obama, senatore inesperto e primo candidato afroamericano di sempre, scelse Joe Biden, veterano del Congresso e apprezzato dalla classe operaia bianca. Al contrario, si può scegliere un vice perché consolida l’identità del candidato: è il motivo per cui Bill Clinton, quarantenne emergente del Sud, scelse Al Gore, un altro quarantenne emergente del Sud; ma anche quello per cui l’esperta e pragmatica Hillary Clinton scelse l’esperto e pragmatico Tim Kaine. Si può scegliere un vice perché piace alla base del partito: è il motivo per cui nel 2008 John McCain, già allora considerato troppo moderato da un pezzo del Partito Repubblicano, scelse Sarah Palin. Oppure si può scegliere un vice proveniente da uno stato in bilico sperando che contribuisca a far vincere il candidato in quello stato, ma è una cosa che non capita quasi mai: alla fine alle elezioni americane si vota per il presidente.

Infine, ci sono altre due importanti variabili. Il primo è l’affinità personale. Non basta un profilo politico sulla carta perfetto se i due non si prendono, se non vanno d’accordo, se non sono pronti a interpretare i loro ruoli in un modo che funzioni. Il secondo riguarda il Senato. Nel caso in cui la persona candidata alla vicepresidenza faccia parte del Senato e diventi effettivamente vicepresidente, il suo seggio per due anni viene occupato da una persona nominata in completa libertà dal governatore del suo stato. Cosa vuol dire: se Biden dovesse scegliere una senatrice proveniente da uno stato governato dai Repubblicani, rischierebbe seriamente di perdere un seggio al Senato. E in una situazione equilibrata e polarizzata come quella attuale, perdere un seggio al Senato potrebbe significare compromettere del tutto la propria agenda politica.


Nella nuova puntata di Domani c’è Paolo Condò. Si ascolta qui.

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Questo è il campo da gioco, in breve. Ora vediamo i giocatori, anzi: le giocatrici. L’unica cosa che sappiamo, infatti, è che Joe Biden ha detto più volte che sceglierà una donna: ma il Partito Democratico ha molte donne che potrebbero essere scelte. E sappiamo anche – ci torno perché è una delle domande che mi rivolgete più spesso – che non sarà Michelle Obama, che ha escluso più volte, categoricamente e in tutte le lingue del mondo di voler fare politica attiva, che si è tenuta fin qui lontanissima dalla campagna elettorale e non fa altro che ripetere (in pubblico e in privato) di voler stare alla larga da Washington. Queste sono le donne papabili, per l’idea che mi sono fatto. Vado in ordine alfabetico.

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