Questi giorni resteranno – S04E23

–150 giorni alle elezioni statunitensi

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Le più grandi proteste dagli anni Sessanta, la più grave pandemia dagli anni Venti e la più grave crisi economica dagli anni Trenta, tutte insieme: e questo è Da Costa a Costa.

Lunedì pomeriggio, quando gli agenti di polizia schierati a Lafayette Square, Washington D.C., si sono improvvisamente inginocchiati, i manifestanti hanno pensato che fosse un gesto di solidarietà e di rispetto per gli afroamericani uccisi. In realtà stavano indossando le maschere anti-gas. Poi sono cominciate le cariche e le manganellate, distribuite contro chiunque. Era l’inizio di uno dei momenti più tristi e inquietanti della storia recente americana.

Un cameraman australiano si è preso un colpo di scudo sulla pancia e un pugno in faccia, così.

Qualche ora prima, la mattina di lunedì, il presidente Trump era agitato e nervoso. Le proteste innescate dall’omicidio di George Floyd a Minneapolis si stavano ancora allargando, e né i governatori né i sindaci sembravano avere intenzione di usare la durezza secondo lui necessaria a reprimere le manifestazioni. I poteri del presidente degli Stati Uniti sono limitati, in questi casi, visto che la polizia è competenza delle autorità locali: e la sua proposta di schierare per le strade la guardia nazionale e l’esercito era stata accolta con freddezza sia dal suo staff che dagli stessi governatori.Come se non bastasse, la sera prima qualche centinaio di persone avevano protestato davanti alla Casa Bianca, e qualcuno aveva addirittura scavalcato la cancellata, pur senza intenzioni bellicose. Gli invasori erano stati rapidamente respinti, ma per cautela e per rispetto del protocollo gli agenti avevano deciso di portare temporaneamente il presidente Trump, la moglie Melania e il figlio Barron in uno dei bunker della Casa Bianca, e tutte le luci esterne dell’edificio erano state spente. I programmi televisivi del mattino avevano insistito molto su questo dettaglio del bunker, che Trump trovava umiliante.

Dopo una riunione infruttuosa, Trump aveva parlato con tutti i governatori in una conference call, parlando delle manifestazioni come se vi avessero partecipato solo teppisti, saccheggiatori e violenti. Esistono l’audio e la trascrizione integrali della telefonata.

«Dovete dominarli. Se non li dominate, state perdendo tempo. Sembrerete un pugno di imbecilli. Li dovete dominare, li dovete arrestare, li dovete processare e li dovete mandare in galera per molto tempo. […] E se c’è da dargli cinque anni o dieci anni, gli darete cinque o dieci anni. La parola è dominio. Se non dominate le vostre città e il vostro stato, si prenderanno gioco di voi. Noi lo stiamo facendo a Washington, stiamo facendo cose che non si erano mai viste. Avremo il dominio totale. E poi dovete metterli in galera e dovete autorizzare qualsiasi cosa»

Nel primo pomeriggio, intanto, a poche centinaia di metri dalla Casa Bianca si era formata un’altra manifestazione.

Vedete la foto qui sotto? In basso al centro c’è la Casa Bianca, che ha davanti un giardino e poi un parco, Lafayette Square, che un tempo era un mercato di schiavi. La strada su cui affaccia in alto Lafayette Square si chiama H Street, e nel punto in cui vedete il palloncino rosso c’è una chiesa, la St. Paul Episcopal Church, nota anche come “la chiesa dei presidenti” per la sua vicinanza con la Casa Bianca. I manifestanti si erano radunati attorno a Lafayette Square e su H Street, ed erano completamente pacifici. Canti, balli, slogan, urla, cartelli. Un reverendo della chiesa aveva comprato bottigliette d’acqua per tutti; una ventina di preti e diaconi andava in giro a distribuire snack ai manifestanti.

Dentro la Casa Bianca, intanto, qualcuno aveva finalmente avuto un’idea: qualcosa che avesse un valore simbolico e desse ai media e agli americani un’immagine forte, diversa da quella – secondo loro patetica – del presidente nascosto nel bunker (tanto che nel frattempo Trump aveva già ordinato ai suoi portavoce di smentire tutto, e dire che era andato nel bunker solo per “ispezionarlo”).

Non è ancora chiaro se l’idea sia venuta a Trump o a sua figlia Ivanka, ma questo era il piano. Dopo le 18.30 il presidente avrebbe fatto un breve intervento nel più bel giardino della Casa Bianca, il Rose Garden, dicendosi dispiaciuto per la morte di George Floyd, vicino a chi manifesta pacificamente ma determinato a usare l’esercito contro i «teppisti»; subito dopo, dato che la sera prima qualcuno tra i manifestanti aveva appiccato un piccolo incendio in un seminterrato della chiesa di St. Paul, Trump sarebbe uscito a piedi dalla Casa Bianca e avrebbe raggiunto la chiesa. L’idea aveva convinto tutti, forse anche per mancanza di alternative, e quindi si era passati subito all’elaborazione del piano. Prima ancora di stabilire cosa Trump avrebbe fatto una volta arrivato alla chiesa, agli agenti della sicurezza era stato dato incarico di preparare tutto.

Nessuno sarebbe stato avvertito, nemmeno la stampa, per creare una specie di effetto sorpresa. C’era solo un problema: la manifestazione pacifica su H Street e Lafayette Square, proprio gli spazi che separano la Casa Bianca dalla chiesa. Il coprifuoco sarebbe scattato alle 19, ma non si poteva avere la certezza che i manifestanti si sarebbero allontanati. Il procuratore generale, William Barr, aveva ordinato allora alle forze dell’ordine di allargare il perimetro di sicurezza attorno alla Casa Bianca, e sgomberare la manifestazione il prima possibile.


Il sopralluogo di William Barr.

E quindi torniamo al momento da cui eravamo partiti. Intorno alle 18.15 di lunedì, gli agenti che fino a quel momento erano rimasti fermi a protezione del perimetro che circonda la Casa Bianca hanno cominciato ad avanzare da Lafayette Square verso H Street. I manifestanti sono stati colti completamente di sorpresa. Il clima sulla strada era tranquillo, non c’era stato alcun tipo di scontro; c’erano ragazzi e adulti, famiglie, qualche giornalista, i preti e i diaconi. Tutti pensavano che le tensioni sarebbero potute nascere al massimo dopo il coprifuoco delle 19. Se davvero prima di cominciare a caricare i manifestanti gli agenti li hanno invitati tre volte a spostarsi usando dei megafoni, come dicono di aver fatto, non li ha sentiti nessuno.

Granate stordenti, proiettili di gomma, sostanze urticanti, manganellate ovunque, anche sulle spalle di chi stava scappando. Giornalisti e cameramen picchiati come tutti gli altri. Tutti cercavano di scappare senza riuscire a vedere, perché gli occhi bruciavano come la gola, il petto e la pelle, e nel frattempo si prendevano una manganellata, o un proiettile di gomma su una mano o sulla pancia, o gli scoppiava una granata stordente tra le gambe. Alcuni manifestanti, arretrando, si sono messi in riga e in ginocchio: la polizia gli è passata addosso e attraverso.

Nel giro di un quarto d’ora gli agenti sono arrivati davanti alla chiesa, e i manifestanti sono stati spinti verso le strade laterali. Il piano poteva procedere.

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