22 Ago Le tenebre e la luce – S04E34
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Ho molto sonno, e questo è Da Costa a Costa.
Madre indiana, padre giamaicano, cultura ed esperienza di vita afroamericana in uno dei posti più bianchi degli Stati Uniti, ma frequentando le scuole per neri, i templi induisti e le chiese battiste. Procuratrice progressista, ma non si capisce se abbastanza o troppo poco. Candidata alle presidenziali carismatica e ben finanziata, con grandissime aspettative, ma ritirata prima dell’inizio delle primarie. Kamala Harris viene etichettata in molti modi diversi, ma nessuna semplificazione riesce davvero a descriverla: e oggi che concorre per aggiungere al suo nome un titolo e un incarico più grande di tutti gli altri che una donna americana abbia mai avuto, la campagna elettorale si baserà inevitabilmente anche sulle cose che ha detto e che ha fatto fin qui. È un ritratto intricato e ricco di sfumature: il miglior modo di farsi un’idea è conoscere la sua storia.
E quindi, come vi avevo promesso, la nuova puntata del podcast di Da Costa a Costa racconta proprio la storia di Kamala Harris, con i suoi molti passaggi notevoli e le sue molte contraddizioni. Potete ascoltarla cliccando play qui sotto oppure attraverso tutte le principali piattaforme di podcast, da Spotify a Apple Podcast, da Spreaker a Google Podcasts.
Ascolta “S04E17. Kamala Harris somiglia all’America” su Spreaker.
La convention del Partito Democratico ha definito questa campagna elettorale come una scelta tra l’oscurità e la luce. Le persone che per otto ore – due ogni sera da lunedì a giovedì – si sono alternate rivolgendosi al paese, politici professionisti e comuni cittadini, si sono spartite i compiti: alcuni hanno fornito una tetra descrizione delle condizioni attuali degli Stati Uniti d’America, attribuendone le responsabilità ai fallimenti dell’amministrazione Trump; altri hanno descritto, spiegato e promosso perché secondo loro l’unico modo di migliorare le cose – di vedere la luce, letteralmente – è eleggere Joe Biden e Kamala Harris alla presidenza e alla vicepresidenza degli Stati Uniti.
They made a compelling case, direbbero negli Stati Uniti: per quello che possiamo giudicare da qui, e senza che questo permetta di prevedere in alcun modo come andranno le cose alle urne tra due mesi, sono stati efficaci. Se vi state chiedendo: «ok, ma quanto contano alla fine le convention?», ho una puntata del podcast per voi. Ma pensate questo: i candidati spendono di norma centinaia di milioni di dollari per trasmettere in tv spot televisivi da 30 o 60 secondi l’uno. Le convention sono due ore in prima serata, a reti unificate, per quattro giorni consecutivi, gratis. Contano, come tante altre cose.
In quella che è stata una sorprendente svolta a 180 gradi nel loro atteggiamento rispetto al futuro e nei valori che hanno sempre tentato di trasmettere, la descrizione dell’oscurità dell’attuale momento del paese è stata affidata a Barack e Michelle Obama. Non parliamo soltanto dei due oratori più formidabili degli Stati Uniti, ma soprattutto di due persone il cui arco nella vita pubblica è sempre stato contraddistinto da un messaggio di speranza davanti al futuro, e di forte ottimismo nelle difficoltà. Sempre. Eppure stavolta i discorsi di Barack e Michelle Obama sono stati i più cupi, preoccupati e contriti delle loro vite, e anche per questo sono stati tra i più commentati e discussi.
Per diciotto minuti, guardando in camera, Michelle Obama ha rivolto un discorso duro e sofferente, descrivendo in modo molto amaro le attuali condizioni degli Stati Uniti. «So che il mio messaggio non arriverà a molte persone. Viviamo in un paese profondamente diviso, e io sono pur sempre una donna nera che parla alla convention del Partito Democratico. Ma a questo punto mi conoscete. Sapete che dico quello che sento. Sapete che odio la politica. E sapete anche che ho a cuore questo paese e tutti i nostri figli. Quindi, voleste portarvi a casa una cosa sola dalle mie parole di stasera, che sia questa: se pensate che le cose non possano andare peggio di così, credetemi, possono; e lo faranno, se non cambiamo le cose in queste elezioni. Per avere anche una sola speranza di mettere fine a questo caos, dobbiamo votare Joe Biden come se da questo dipendesse la nostra vita. Perché è così».
Due giorni dopo suo marito Barack, che oltre che sulla speranza ha costruito la sua immagine pubblica su un pragmatismo equilibrato e pacato – addirittura freddo, secondo alcuni – senza cedere mai a dichiarazioni iperboliche, un uomo che è stato accusato a lungo di essere troppo misurato e avere eccessivamente a cuore la tutela delle istituzioni in quanto tali e quindi anche della presidenza a prescindere dall’occupante della Casa Bianca, ha rivolto un messaggio ancora più drammatico, molto più grave di qualsiasi comune attacco politico da campagna elettorale. «L’esito di queste elezioni riecheggerà per generazioni. Non lasciate che vi tolgano il vostro potere. Non lasciate che ci tolgano la democrazia. Qualsiasi possibilità di progresso dipende interamente dall’esito di queste elezioni. Questa amministrazione ha mostrato di essere pronta a distruggere la nostra democrazia pur di vincere. Quindi dobbiamo darci da fare». Barack Obama ha parlato dal National Constitution Center di Philadelphia, il posto in cui è stata firmata la Costituzione americana, con dietro una gigantografia del testo fondativo degli Stati Uniti. Più di una volta è sembrato sul punto di commuoversi.
Posso immaginare cosa vi state chiedendo. Ha senso, funziona, impostare un messaggio politico così? La demonizzazione dell’avversario non rischia di essere controproducente? Non lo so, ma vi sottopongo tre cose da tenere presente prima di trovare la risposta a questa domanda.
La prima è che è sacrosanto chiedersi cosa convenga e cosa no, in una campagna elettorale, ma è ancora più importante chiedersi se questo messaggio sia vero o no. Se pensate che lo scenario descritto qui sopra sia esagerato, allora i Democratici hanno fatto qualcosa di peggio di usare una strategia sbagliata: hanno terrorizzato decine di milioni di persone senza un valido motivo. Se pensate che lo scenario qui sopra sia invece verosimile, la domanda da cui siamo partiti andrebbe riformulata così: i Democratici avrebbero aiutato se stessi oppure Trump, se avessero descritto una situazione migliore di quella che è? Sarebbe stata questa la strategia più furba?