Big Fires Everywhere – S04E37

–59 giorni alle elezioni statunitensi

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Se vivete in PugliaMarcheVenetoSiciliaToscanaCampaniaLombardiaMolise e Umbria, sappiate che secondo la stampa italiana vivete tutti nell'”Ohio d’Italia”, e questo è Da Costa a Costa.

Da giovedì nella costa ovest degli Stati Uniti non si vede più il sole: non si vede più il cielo. Il fumo degli incendi più devastanti mai avvenuti ha coperto migliaia di chilometri quadrati, dall’Oregon allo stato di Washington alla California fino quasi al confine con il Messico, mettendo una sorta di apocalittico filtro arancione alla realtà. L’aria è insopportabile. Ci sono decine di morti, persone che non hanno fatto in tempo a scappare. Soltanto in Oregon oltre il 10 per cento della popolazione, 500.000 persone, è già stato costretto a lasciare la propria casa: altri ancora lo faranno presto.

Per quanto non ce ne siano mai stati di così gravi, in quella zona degli Stati Uniti gli incendi non sono una cosa nuova. Nel 2015 è bruciato lo 0,5 per cento dell’intera superficie della California. Nel 2016 lo 0,6 per cento. Nel 2017 l’1,3 per cento. Nel 2018 un altro 1,8 per cento. Quest’anno gli incendi hanno già bruciato un’area della California più grande dell’Umbria. La causa principale è la crisi climatica, con una siccità che va avanti da vent’anni e il progressivo aumento delle temperature che ha portato in agosto a registrare nella Death Valley, sempre in California, ben 54,4 gradi. La temperatura più alta registrata in qualsiasi luogo della Terra da almeno un secolo, forse di più. D’altra parte, diciotto dei diciannove anni più caldi negli ultimi 140 di storia del pianeta sono avvenuti dal 2001 a oggi, come sapete: e sei dei venti incendi più devastanti nella storia moderna della California si sono sviluppati nel 2020.

Questa foto è stata scattata di giorno.

Chi ha letto Questa è l’America però sa che non c’è solo la crisi climatica, tra le ragioni di questi incendi. Vi incollo di seguito un brano del libro: un pezzo di una storia più ampia.

Quando finì la corsa all’oro, all’inizio del Novecento, in molte comunità rurali della California il legname diventò il nuovo oro. Ettari ed ettari di foreste soprattutto nel Nord dello Stato vennero disboscati, e gli insediamenti nati attorno agli impianti per estrarre l’oro e poi per trattare il legno si trasformarono in piccoli villaggi. Grazie a leggi particolarmente permissive, che consentivano di costruire senza grandi vincoli e senza un piano per lo sviluppo di adeguate infrastrutture, intorno agli anni Settanta queste comunità nate in modo improvvisato e spontaneo si trasformarono in vere e proprie città, sorte dove prima c’erano solo alberi.

Una di queste si diede il nome di Paradise, tanto era meraviglioso il posto in cui sorgeva. Ventimila abitanti a poco più di un’ora di distanza da Sacramento, la capitale della California: come se un intero quartiere fosse stato strappato dal terreno e calato dall’alto in mezzo alla foresta, con costi della vita infinitamente più bassi ma senza fognature, senza sistemi antisismici o antincendio, a volte persino senza marciapiedi. E la foresta intorno non era la stessa di prima, dopo anni di disboscamenti. Gli alberi […] non erano più eterogenei per tipologia, età e dimensioni, frutto di secoli di stratificazioni e aggiustamenti naturali; erano gli alberi ripiantati nel corso dei decenni dalle società del legname, tutti della stessa specie, tutti delle stesse dimensioni, tutti ugualmente fragili. Una grande scatola di fiammiferi, come ammonivano gli incendi che di tanto in tanto lambivano la città.

La risposta si limitò alla gestione dei guai una volta avvenuti. La lotta agli incendi sempre più frequenti divenne un enorme complesso industriale: milioni di dollari furono spesi in assunzioni di vigili del fuoco e nell’acquisto di elicotteri, canadair ed equipaggiamenti di ogni sorta. Poco o niente fu investito nella prevenzione, anzi: i ranger furono riconvertiti in vigili del fuoco, persino la loro uniforme cambiò colore dal kaki al blu, e smisero di gestire la foresta, di proteggere i bacini idrici, di appiccare gli incendi controllati che periodicamente permettono di rimuovere la vegetazione del sottobosco e le piante morte. La stessa massiccia presenza dei vigili del fuoco diventò paradossalmente un incentivo a trasferirsi, invece che ad andarsene, specialmente dal momento che nei mesi invernali, quando gli incendi erano deboli e sporadici, i pompieri diventavano in tutto e per tutto un servizio della comunità.

L’ultimo ingrediente che mancava al disastro inevitabile – la scintilla, letteralmente – lo portò la Pacific Gas and Electric Company (PG&E), la società energetica che serviva la regione, accusata di inefficienza, corruzione e negligenza. La stessa che per decenni aveva posizionato tralicci in mezzo alla foresta senza abbattere gli alberi intorno o rimpiazzare quelli secchi. La stessa contro cui negli anni Novanta lottò l’attivista Erin Brockovich resa celebre dal film con Julia Roberts. La stessa che nel 2010 a San Bruno, un’altra città del Nord della California, aveva visto esplodere una conduttura di gas sotterranea danneggiata da anni e mai riparata, sparando verso il cielo una gigantesca colonna di fuoco che aveva distrutto decine di abitazioni. La stessa che, come si apprese poi, a lungo aveva distratto fondi destinati alla sicurezza e alla prevenzione degli incendi per versarli ai dirigenti come bonus o agli azionisti come dividendi. Cose che neanche i cattivi dei film, con conseguenze da film.

All’alba dell’8 novembre 2018 tirava un vento fortissimo. L’aria era secca e nella foresta non pioveva da maggio. In luoghi e situazioni del genere le pratiche antincendio più comuni – introdotte in California dopo decenni di roghi devastanti – invitano le aziende a sospendere la fornitura di energia elettrica, almeno finché non si placa il vento, ma la PG&E non lo fece. Poco dopo le sei del mattino un vecchio traliccio scosso da raffiche a ottanta chilometri orari cominciò a oscillare, finché un grosso cavo dell’alta tensione non si staccò e cadde scoperto sugli alberi, che presero fuoco.

Per quanto non in senso letterale, ci sono stati altri incendi questa settimana negli Stati Uniti.

Da quasi cinquant’anni, per tutti i presidenti americani arriva prima o poi il momento in cui fare i conti con Bob Woodward. Due volte premio Pulitzer, Woodward è forse il più famoso giornalista vivente: quello che a 29 anni tirò giù la presidenza Nixon insieme al suo collega Carl Bernstein, scoprendo il cosiddetto caso Watergate. Da allora, fino a oggi che di anni ne ha 77, Woodward ha continuato a fare il giornalista d’inchiesta, scrivendo articoli e ultimamente soprattutto libri e tirando fuori uno scoop dopo l’altro. Grazie alla sua reputazione leggendaria e alla quantità e qualità delle sue fonti – due caratteristiche che si alimentano a vicenda – i suoi libri si fanno sempre notare.

Il suo nuovo libro, Rage, uscirà il 15 settembre: e da pochi giorni la stampa ha cominciato a pubblicarne delle anticipazioni autenticamente incredibili.

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