19 Set Un altro colpo di scena – S04E38
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La campagna elettorale è cambiata completamente, di nuovo, in un secondo. Quando in Italia erano circa le due del mattino, negli Stati Uniti è stata diffusa una notizia dalle conseguenze potenzialmente sconfinate: è morta Ruth Bader Ginsburg.
Questo è Da Costa a Costa.
Ruth Bader Ginsburg aveva 87 anni ed era la più anziana giudice della Corte Suprema, nonché l’unico giudice di cui la gran parte degli americani conoscesse il nome. Un simbolo del paese a tutti gli effetti, Ginsburg è stata l’artefice pressoché solitaria di grandissimi progressi per le donne: la sua faccia appare da anni su poster, tazze e magliette, la sua storia è stata già raccontata da un film di Hollywood. La chiamavano “Notorious RBG”, ma era famosissima e celebratissima già prima di diventare una giudice della Corte Suprema: e non perché fosse un idolo della sinistra come era ormai oggi, anzi. La sua nomina alla Corte Suprema fu ratificata con 96 voti favorevoli su 100, una cosa da allora mai più accaduta; e all’epoca era considerata una moderata, una centrista, amica fraterna di Antonin Scalia, il più famoso e venerato giudice conservatore degli ultimi decenni.
Quando Antonin Scalia morì, nel 2016, l’allora presidente Obama non riuscì a rimpiazzarlo. Benché nominare un nuovo giudice fosse suo diritto, le nomine dei giudici vanno ratificate dal Senato: e i Repubblicani del Senato, che avevano la maggioranza, si rifiutarono persino di calendarizzare le audizioni, sostenendo che nell’anno delle elezioni presidenziali fosse inopportuno nominare nuovi giudici alla Corte Suprema. Meglio evitare di prendere una decisione dalle conseguenze così enormi poco prima che il popolo si esprima, dissero: meglio aspettare che sia il nuovo presidente a decidere. I Democratici in quel momento avevano la possibilità di ribaltare l’orientamento ideologico della Corte – erano rimasti tre giudici progressisti e tre giudici conservatori, al netto del seggio di Scalia vacante – ma i Repubblicani glielo impedirono.
La logica vorrebbe che la leadership del Partito Repubblicano applicasse oggi la stessa valutazione, ma non sarà così. Nonostante manchino poche settimane al voto, il leader dei Repubblicani al Senato, Mitch McConnell, ha atteso solo pochi minuti dopo la morte di Ruth Bader Ginsburg per comunicare che Donald Trump ha il diritto di scegliere un nuovo giudice della Corte Suprema e che la persona che sceglierà sarà sottoposta il prima possibile al voto del Senato. I Repubblicani oggi hanno la maggioranza al Senato, con 53 voti su 100. La decisione è loro e loro soltanto. Se Ginsburg venisse sostituita da un giudice nominato da Trump, lo squilibrio tra progressisti e conservatori diventerebbe molto ampio: 6 a 3. I conservatori si prenderebbero il controllo totale della Corte Suprema, per decenni, con conseguenze sul lavoro e sui diritti civili, sulle istituzioni e sul corpo delle donne, sull’immigrazione e sull’economia.
Ho raccontato la storia incredibile di Ruth Bader Ginsburg in un episodio di The Big Seven, la serie di podcast che ho realizzato nel 2019 per Storytel, con le storie di sette grandi americani contemporanei. Se volete registrarvi a Storytel, tenete conto che facendolo attraverso questo link potete avere 30 giorni di prova gratuita invece dei canonici 14.
Bisognerà aspettare qualche ora per capire se davvero i Repubblicani decideranno di percorrere questa strada così controversa e lacerante per il paese, anche se mentre scrivo questa newsletter, alle quattro del mattino, sembra scontato. La scelta di rimpiazzare Ginsburg immediatamente non avrebbe la sola conseguenza – di per sé già colossale – di dare una sterzata conservatrice alla Corte Suprema per generazioni, ma metterebbe le dita negli occhi degli elettori del Partito Democratico con una sfacciataggine per la quale faccio fatica a trovare paragoni. Poche altre cose li renderebbero più furiosi, forse nessuna. Di fatto lo sono già. Con quali conseguenze?
I Democratici potrebbero decidere di cambiare il numero di giudici della Corte, per esempio, una volta tornati al potere. Non è scritto nella Costituzione che debbano essere nove, basta una legge del Congresso per cambiarlo, è già accaduto nella storia americana. Quando in questi giorni sentirete parlare di “court-packing”, di questo si parla: di aggiungere due o più seggi alla Corte Suprema. Qui potete leggerne qualcosa in più. Ma le conseguenze della morte di Ginsburg non si fermano alla possibilità di un dominio conservatore della Corte per generazioni, né alla possibilità di cambiare la fisionomia della Corte. La campagna elettorale, infatti, è già cambiata. C’è una nuova gigantesca, gigantesca posta in palio.
I Repubblicani sanno di non avere margine di errore. Dal 1988 a oggi hanno ottenuto la maggioranza nel voto popolare alle presidenziali soltanto una volta, nel 2004. Il paese sta andando da un’altra parte, e solo lo squilibrio garantito dai sistemi di rappresentanza statunitensi – che loro non a caso difendono con le unghie e con i denti – gli ha permesso di contendere il potere ai Democratici: dal Collegio elettorale per la Casa Bianca al gerrymandering per la Camera, dalla distorsione forzata della composizione del Senato fino alla componente casuale che determina la composizione della Corte Suprema. È difficile che si lascino sfuggire la possibilità di rimpiazzare Ginsburg. Un’occasione del genere potrebbe non ripresentarsi per mezzo secolo.
Se Trump dovesse riuscire a sostituire Ginsburg, quindi, queste elezioni metterebbero in palio la possibilità per i Democratici di non essere completamente annichiliti, e magari di cambiare la fisionomia della Corte Suprema. Se Trump non ci dovesse riuscire, magari per le defezioni di tre o quattro senatori Repubblicani che non dovessero sentirsela di farsi odiare da mezzo paese, queste elezioni metterebbero in palio la possibilità di scegliere un nuovo giudice della Corte Suprema subito dopo l’insediamento. Joe Biden può non piacere a un pezzo del Partito Democratico, Donald Trump può non piacere a un pezzo del Partito Repubblicano, ma ora è chiaro a tutti che in ballo non ci sono i prossimi quattro anni ma i prossimi quaranta. Ci aspettano giorni molto intensi.