Euforia – S04E41

Euforia – S04E41

–24 giorni alle elezioni statunitensi

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Nessun insetto è stato menzionato nell’odierna edizione della newsletter, e questo è Da Costa a Costa.

In una delle prime conferenze stampa dopo il ricovero ospedaliero del presidente Donald Trump, il suo medico personale Sean Conley ha detto che il paziente era «stanco ma di buon umore», e quasi senza sintomi benché affetto dalla COVID-19: un quadro che rendeva «estremamente felici» i medici del suo team. Pochi minuti dopo, però, i giornalisti sul posto hanno riferito che una fonte molto autorevole li aveva presi da parte e dietro garanzia dell’anonimato gli aveva fornito un quadro molto diverso, descrivendo una situazione «preoccupante» e una prognosi incerta, e raccontando che era stato necessario somministrare a Trump dell’ossigeno.

Data la fondamentale importanza di queste informazioni, la fonte non è rimasta anonima a lungo: era addirittura il capo dello staff della Casa Bianca, la persona più importante dell’amministrazione dopo il presidente. Voleva che i giornalisti fossero pronti a ogni scenario, dal momento che il medico aveva deciso invece di rivolgersi a un pubblico composto da una sola persona: il presidente.

Quando i giornalisti si sono trovati davanti di nuovo il medico di Trump, gli hanno chiesto come mai nella precedente conferenza stampa non avesse detto la verità. La risposta è stata notevole: il medico ha detto che i suoi commenti volevano «riflettere l’atteggiamento positivo del team e del presidente», e che non voleva «diffondere informazioni che avrebbero potuto cambiare il corso della malattia» di Trump. Poi, come aveva già fatto e come avrebbe fatto ancora molte volte, si è rifiutato di dire a quando risale l’ultimo tampone negativo di Trump.

Tuttora non sappiamo quando Trump abbia scoperto di aver contratto il coronavirus. E la mancanza di trasparenza su una questione così banale può significare solo due cose: che Trump fosse risultato positivo prima di quanto ufficialmente annunciato – il medico si è lasciato scappare che potrebbe essere avvenuto anche due giorni prima, per poi correggersi – o che Trump non venisse testato con grande frequenza.

Quello che sappiamo è che il medico di Trump ha mentito più volte, mentre la Casa Bianca diventava il peggior focolaio di coronavirus di Washington DC, con quasi 40 persone contagiate soltanto tra funzionari, senatori, consiglieri e membri dello staff, e la notizia della positività di Hope Hicks è stata data da una giornalista e non dalla Casa Bianca. Che Trump diceva ai suoi consiglieri positivi di «non dirlo a nessuno». E che i protocolli di sicurezza alla Casa Bianca erano così insufficienti che persino Mitch McConnell, il famigerato capo dei Repubblicani al Senato, l’uomo più detestato dai Democratici, ha detto che sono due mesi che non si fa vedere da quelle parti perché si comportano da incoscienti.

Queste sono, nell’ordine, le cose che sappiamo a questo punto. Sappiamo che venerdì della settimana scorsa le condizioni di Trump sono peggiorate più di quanto fosse stato reso noto all’epoca, e da qui la decisione di ricoverare tempestivamente il presidente in ospedale affinché potesse almeno lasciare la Casa Bianca sulle sue gambe. Sappiamo che ha avuto la febbre alta e una bassa ossigenazione del sangue.

Sappiamo che una volta ricoverato a Trump sono stati somministrati il Regeneron, un cocktail di anticorpi artificiali in via di sperimentazione e fuori dal mercato; il Remdesivir, un farmaco antivirale; e il desametasone, un antinfiammatorio steroideo che ha dato risultati promettenti nel trattamento dei malati gravi ma che potrebbe fare danni nei pazienti con condizioni più lievi, e in generale provocare euforia e sbalzi d’umore.

Euforia?

 

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