24 Ott Più di mille parole – S04E43
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Da qualche tempo sogno di meritare il soprannome “Sleepy Francesco”, e questo è Da Costa a Costa.
C’è stato un momento, durante il secondo e ultimo confronto televisivo fra Donald Trump e Joe Biden prima del voto del 3 novembre, che racchiude in modo esemplare l’identità dei due candidati e l’argomento sul quale stanno facendo leva per cercare di convincere il numero più ampio possibile di americani.
Biden aveva appena finito di respingere gli attacchi rivolti da Trump alla sua famiglia e soprattutto a suo figlio Hunter (se non ricordate la storia, ne abbiamo parlato sabato scorso). Quindi ha fatto una pausa e poi ha ricominciato, guardando in camera.
«C’è un motivo per cui dice tutte queste stupidaggini. Non vuole parlare delle cose importanti. Il motivo per cui siamo qui non riguarda la sua famiglia o la mia famiglia. Riguarda la vostra famiglia. E se la vostra è una famiglia della classe media, in questo momento le cose per voi non vanno bene. In questo momento nel nostro paese le famiglie della classe media si riuniscono al tavolo della cucina e si chiedono: possiamo comprare gli pneumatici nuovi alla macchina? Forse non abbiamo i soldi per pagare il mutuo. Chi glielo dice che non potrà tornare al college? Queste sono le decisioni che si stanno prendendo nelle famiglie come la vostra, come quella in cui sono cresciuto. Siete nei guai. Dovremmo parlare di voi, ma questa è l’ultima cosa di cui lui vuole parlare».
Trump lo ha incalzato con uno di quei mezzi sorrisi che pende da un lato soltanto.
«Questa è la classica frase da politico. Invece che parlare della Cina, vi guarda e vi racconta della “famiglia intorno al tavolo”… tutto il repertorio. È una classica frase da politico. Io non sono un classico politico. Per questo sono stato eletto. Invece tu dici: cambiamo discorso e parliamo di chi si siede attorno al tavolo della cucina. Andiamo, Joe, puoi fare di meglio».
C’è tutto, in questo scambio. C’è la cinquantennale carriera di Joe Biden trascorsa nel tentativo – riuscito o no, se ne può parlare – di fare gli interessi della classe media. C’è il suo modo démodé di rivolgersi agli elettori guardando dritto dentro la telecamera, a costo di apparire posticcio. C’è il suo essere indubbiamente un classico politico. C’è la strategia usata con successo dai Democratici fin dalle elezioni di metà mandato del 2018: parlare meno della persona Trump, del suo carattere, della sua volgarità, e parlare di più delle conseguenze concrete dell’amministrazione Trump sulle vite delle persone: di quelli che si chiamano, per l’appunto, “kitchen-table issues”.
C’è il cinismo contagioso con cui Trump sotterra ogni singolo tentativo di volare più alto di qualche centimetro gli capiti intorno. C’è la spregiudicatezza delle persone per cui vale tutto, sempre. C’è il tentativo di presentarsi di nuovo come un outsider, anche se oggi è l’uomo più potente del mondo. C’è la strategia usata con successo dal 2016: nell’impossibilità di rendersi popolare e gradito alla maggioranza del paese, vincere attraverso la demolizione dell’avversario. Una demolizione personale – corrotto, rincoglionito, disonesto, ladro – prima che politica.
Il secondo e ultimo confronto televisivo è stato un vero confronto. Al contrario del primo dibattito, caratterizzato da un andamento caotico, dagli insulti reciproci e dalle continue interruzioni, Donald Trump e Joe Biden hanno dibattuto con durezza ma senza sovrapporsi; e si sono criticati aspramente ma senza gravi offese. Entrambi ne sono usciti meglio che dal primo: Trump è stato più coerente e meno istintivo, e ha espresso un messaggio politico chiaro e disciplinato; Biden è stato più lucido ed energico, e non ha dato la sensazione di fragilità che aveva dato nel primo confronto. Se volete saperne di più, trovate qui il riassunto che ne ho scritto ieri per il Post.
Non è chiaro se si possa dire che uno dei due abbia “vinto” sull’altro, al netto di quanto dicano i sondaggi post-dibattito, di cui mi fido generalmente poco. Soprattutto non sembra che ci siano stati momenti o risposte o errori da una parte o dall’altra in grado di cambiare la direzione e l’inerzia della campagna elettorale, quando oltre 40 milioni di americani hanno già votato – per posta o in anticipo – e manca così poco al 3 novembre. È un problema soprattutto per Donald Trump, al quale i sondaggi oggi attribuiscono un cospicuo svantaggio: se il presidente uscente può tornare a casa convinto almeno di non aver peggiorato la situazione, non sembra aver avuto la serata che gli serviva per dare la necessaria spinta a una rimonta difficile.
C’è stato però un altro momento interessante, verso la fine del confronto, al termine una discussione di dieci minuti sulla crisi climatica: o meglio, al termine della prima discussione sulla crisi climatica mai affrontata tra due candidati alla presidenza degli Stati Uniti durante un confronto televisivo.
Trump: «Vuoi chiudere l’industria del petrolio?»
Biden: «Voglio una transizione dal petrolio alle energie rinnovabili»
Trump: «Oooooh, questa è una cosa grossa»
Biden: «Sarà una transizione. È una cosa grossa. Perché l’industria petrolifera inquina moltissimo»
Trump: «Aaah, capisco…»
Biden: «Fammi finire. Nel tempo dovremo sostituirla con le energie rinnovabili. Dobbiamo smettere di dare sussidi pubblici all’industria petrolifera. Non li diamo all’eolico e al solare, perché darli a loro?»
Trump: «Questa è la dichiarazione più importante della serata. In pratica dice che distruggerà l’industria del petrolio. Te lo ricorderai, Texas? Ve lo ricorderete, Pennsylvania, Oklahoma, Ohio?»
Come ho scritto, non credo che questo passaggio – così come gli altri – da solo possa cambiare la direzione della campagna elettorale (una campagna elettorale che può ancora cambiare direzione, sia chiaro: ma non per questo). D’altra parte la transizione dal petrolio alle fonti rinnovabili sta già avvenendo, da decenni. Immagino che negli stati americani dove l’industria del petrolio è più forte qualcuno avrà mugugnato: chissà se nei sondaggi in Texas si muoverà qualcosa. Ma non è questa la cosa più importante, o interessante.