31 Ott Il mondo sta per cambiare, di nuovo – S04E44
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Già, quattro giorni. Questo è Da Costa a Costa.
Prima di cominciare questa newsletter particolare, una piccola comunicazione. Come vi avevo anticipato all’inizio dell’anno, la quarta stagione di Da Costa a Costa si concluderà alla fine del 2020: sabato 26 dicembre uscirà l’ultima puntata del podcast e riceverete l’ultima newsletter. Chi segue da un po’ questo progetto sa che dal 2015 a oggi ci sono state delle pause: e come capita anche con la vostra serie tv preferita, tra una stagione e l’altra può passare del tempo. In questo momento non so dirvi se ci sarà, quando arriverà ed eventualmente che forma avrà una quinta stagione di Da Costa a Costa. Ma spero che ci sia.
Ora cominciamo, ché oggi sarà lunga.
«All’ora in cui il candidato lasciò il suo albergo di Boston (8:30), parecchi milioni di elettori avevano già votato da un capo all’altro del paese: in edifici scolastici, biblioteche, chiese magazzini, uffici postali. Quei voti erano invisibili. […] Tutto questo è invisibile perché è essenziale all’atto che, mentre vien compiuto, esso sia un mistero in cui milioni d’individui fanno combaciare assieme i singoli frammenti di un vasto segreto, ciascuno di essi ignorando l’aspetto del tutto.
Quel che risulta dalla combinazione di questi segreti costituisce il più importante passaggio di poteri del mondo intero – la potestà di disporre e mobilitare, quella di esigere imposte e distruggere, la potestà di creare e la responsabilità di farlo, quella di guidare e la responsabilità di sanare: tutte concentrate nelle mani di un unico uomo. Eroi, filosofi, uomini di valore e nullità, fin dai tempi di Roma e di Atene hanno tentato di rendere efficace e funzionante questo particolare sistema di trasferimento di poteri; nessun altro popolo vi è riuscito meglio, ovvero per un periodo più lungo di tempo, degli americani.
Ma, finché il trasferimento di poteri è in atto, nulla è dato vederne, eccezion fatta ora per un cartello affisso all’esterno di una chiesa o scuola, ora per una coda di persone sotto la pioggia in impaziente attesa di entrare nella cabina elettorale. Non vi sono fanfare che suonano nelle giornate elettorali, non truppe in marcia, non si apprestano armi, non vi sono cospiratori che si raccolgono in segreto. Il frastuono e gli schiamazzi, le fanfare e le ovazioni, le sfilate e i comizi della lunga campagna elettorale, tutto questo nella giornata in cui si vota sparisce. I programmi sono stati attuati, gli sforzi esauriti, ai candidati non resta che attendere».
Il mondo sta per cambiare, di nuovo. Al termine di un anno in cui il mondo è stato sconvolto e colto di sorpresa da avvenimenti tumultuosi come quelli che stiamo vivendo, siamo alle porte dell’unico che fossimo in grado di prevedere, il solo che potessimo preventivare: l’elezione del nuovo presidente degli Stati Uniti. Un evento le cui conseguenze non toccano soltanto la più grande potenza mondiale, ma hanno diramazioni in ogni angolo del pianeta: per influenza diretta o per emulazione. E se in passato più di una volta le elezioni presidenziali americane hanno determinato correzioni e aggiustamenti di rotta, stavolta accadrà qualcosa di diverso.
Una vittoria di Joe Biden ribalterebbe molto di quanto gli Stati Uniti hanno fatto e soprattutto mostrato di sé negli ultimi quattro anni. Per quanto Biden non abbia promesso rivoluzioni, la distanza tra le sue idee e quelle di Trump è immane; la distanza tra la sua identità e quella di Trump è abissale; la distanza tra i progetti dei Democratici e quelli dei Repubblicani è profondissima. Ma una vittoria di Trump – quella che una volta avremmo interpretato come un elemento di continuità – non darebbe stabilità agli Stati Uniti, né al mondo. Aprirebbe la strada ad altri quattro anni di crisi straordinarie e montagne russe di quelle che a ogni curva sembra si stacchi un vagone.
Il mondo sta per cambiare, di nuovo. Dopo due anni di campagna elettorale, oltre tre miliardi di dollari raccolti e reinvestiti, milioni di post pubblicati e una quantità non calcolabile di parole pronunciate dentro ogni casa di ogni città di ogni stato americano, gli americani stanno per scegliere chi sarà il loro presidente nei prossimi quattro anni: e quindi, in un certo senso il loro e il nostro futuro. E quindi, in questa edizione della newsletter troverete le cose fondamentali da sapere in vista del 3 novembre: sulle strategie e le strade possibili dei candidati per arrivare alla Casa Bianca, e su cosa possiamo fare noi da qui per seguire le notizie con efficacia e consapevolezza. La missione di Da Costa a Costa la conoscete: raccontare cose più approfondite e complicate di quelle che trovate mediamente in giro, e farlo in modo più semplice e chiaro di quello che trovate mediamente in giro.
Quello che segue non vi sarà chiaro abbastanza se non conoscete come funziona l’elezione del presidente degli Stati Uniti. Lo so, non è semplicissimo, ma una volta compreso il meccanismo non lo dimenticate più. Se pensate di avere ancora qualche dubbio su grandi elettori, stati in bilico e tutto il campionario, qui trovate una spiegazione da leggere e qui una da ascoltare. Inoltre, tenete presente che non abbiamo davvero idea di come la pandemia, il ricorso massiccio al voto per posta e l’affluenza da record che ci aspetta avranno conseguenze sulla composizione dell’elettorato. Mentre sappiamo che ogni situazione incerta può trascinare tutto in tribunale. Insomma, questa elezione ha un’alta possibilità di sorprese. Di cose strane. Di cose che magari capitano una volta e poi non capitano più. Quello che segue si basa sull’analisi dei sondaggi e su quello che penso di aver capito di questa campagna elettorale. Ma il margine di errore è più ampio del normale: prendete tutto con la giusta dose di scetticismo.
Di una cosa siamo abbastanza sicuri: Joe Biden prenderà più voti di Donald Trump. Come sapete, però, la cosa importante è capire chi fra Biden e Trump prenderà più voti in ogni singolo stato. Chi prenderà più voti in ogni stato avrà diritto a esprimere tutti i “grandi elettori” messi in palio da quel determinato stato. Vince non chi prende più voti su base nazionale ma chi arriva alla maggioranza assoluta dei “grandi elettori”, cioè almeno 270. Ora: nella mappa qui sotto trovate quella che potremmo definire la situazione di partenza. In blu vedete gli stati nei quali già oggi possiamo dire con certezza che vincerà Joe Biden. In rosso quelli in cui vincerà sicuramente Donald Trump. Possiamo esserne certi sulla base di sondaggi che descrivono vantaggi del tutto incolmabili, e di dati demografici e precedenti storici che non lasciano dubbi.
Badate, gli stati che qui sotto non sono né blu e né rossi non sono quelli super equilibrati dove Biden e Trump sembrano alla pari: ce ne sono alcuni in cui uno dei due candidati ha un consistente vantaggio sull’altro. Per quanto consistente, però, quel vantaggio non è abbastanza da poter essere sicuri. Per questo dico che la mappa qui sotto descrive il punto di partenza, gli stati in cui i candidati vinceranno anche in caso di larga sconfitta. Se Biden non dovesse vincere in uno degli stati qui colorati in blu, vorrebbe dire che ha preso una batosta di proporzioni storiche. Lo stesso vale per Trump con gli stati rossi.
Con lo stesso ragionamento, vediamo adesso di individuare i risultati più probabili negli altri stati: e cerchiamo di capire così le strategie dei candidati e le loro possibili strade verso la Casa Bianca.
Per cominciare, coloriamo altri tre stati della mappa: ed entriamo così in un terreno leggermente più scivoloso. Diamo il Nevada a Joe Biden: è uno stato che vota per i Democratici dal 2008 e che ha una crescente popolazione latinoamericana. I sondaggi danno Biden sei punti avanti a Trump in Nevada. Perché allora non lo diamo per certo? Perché Trump con gli elettori latinoamericani è più forte di quanto si pensi (ve ne ho già parlato, ma se volete approfondire). E i dati sul voto in anticipo contengono elementi che suggeriscono qualche possibile crepa nel vantaggio dei Democratici. Biden resta favorito per la vittoria in Nevada, ma non può esserne sicuro.