Una strada pericolosa – S04E50

L’edizione di oggi della newsletter contiene le parole “elefanti rosa”, e questo è Da Costa a Costa.

Osservando quello che succede negli Stati Uniti di questi tempi, bisogna stare attenti a farsi le domande giuste. Prendete questa notizia.

La notizia è questa: il Texas aveva presentato una causa alla Corte Suprema sostenendo che quattro stati americani – Georgia, Pennsylvania, Michigan e Wisconsin, casualmente tutti vinti da Joe Biden – avessero cambiato le loro norme elettorali in modo irregolare, e quindi i loro risultati dovessero essere annullati. Dopo decine e decine di ricorsi persi, Donald Trump aveva detto che questo era «quello grosso». Altri 17 stati americani si erano uniti alla causa del Texas, sottoscrivendo le sue richieste. Lo stesso hanno avevano 106 tra deputati e senatori del Partito Repubblicano. Com’era ovvio, la causa è stata rigettata dalla Corte Suprema, che non ha nemmeno voluto prenderla in considerazione (com’era ovvio, la causa è stata rigettata quando avevo appena finito di scrivere questa newsletter, all’una del mattino, ma questa è un’altra storia).

Ora veniamo alle domande. In questi giorni ho letto molte persone in giro chiedersi, alla luce della causa del Texas: siamo sicuri che Joe Biden diventerà presidente il prossimo 20 gennaio? Qualcuno di voi, evidentemente simpatizzante dei Democratici, mi aveva chiesto sui social: possiamo stare tranquilli? Arrivare alla Corte Suprema non era l’obiettivo finale di Trump, vista la super maggioranza dei conservatori?

Queste secondo me sono domande sbagliate. Al di là di come sia andata questa causa, tenetelo presente sempre: il risultato delle elezioni presidenziali è noto dal 7 novembre. È finita, e da un pezzo. Non ci sono prove di brogli di alcun tipo. I ricorsi sono stati tutti rigettati, alcuni anche con un certo disprezzo, molti da giudici conservatori nominati dallo stesso Donald Trump. La transizione è in corso. Gli attuali dipendenti della Casa Bianca stanno mandando in giro il loro curriculum. Tutti e cinquanta gli stati americani hanno certificato il risultato delle loro elezioni, rendendo ufficiali i loro risultati finali: nemmeno il Congresso potrà contestarli. Lunedì 14 dicembre si riuniranno i grandi elettori e sceglieranno formalmente Joe Biden come prossimo presidente. La Corte Suprema peraltro era già stata sollecitata: si era espressa questa settimana sul risultato del voto in Pennsylvania, respingendo il ricorso con una riga e all’unanimità.

Ma vediamo il contenuto di questa causa, perché può dirci qualcosa. La causa del Texas era stata presentata dal procuratore generale Ken Paxton, un avvocato molto estremista alle prese con problemi legali gravissimi. Due mesi fa sette dei suoi più importanti collaboratori lo hanno accusato di influenze illecite, abuso d’ufficio, corruzione e altri reati, fornendo le prove alle forze dell’ordine. Tutti e sette si sono dimessi o sono stati licenziati poco dopo. Il capo dell’avvocatura dello stato, che di solito firma i ricorsi alla Corte Suprema, si era rifiutato di firmare questo ricorso. Perché la causa era un completo delirio.

Allo scopo di sostenere che i voti di venti milioni di persone (v e n t i m i l i o n i) dovessero essere annullati, il Texas sosteneva che Michigan, Pennsylvania, Georgia e Wisconsin non avrebbero dovuto decidere di accettare anche i voti per posta arrivati dopo le elezioni, purché fossero stati spediti entro il giorno del voto. Solo che Kansas e Mississippi hanno fatto la stessa cosa, eppure non solo non erano oggetto della causa del Texas, ma l’avevano persino sottoscritta (indovinate perché: lì ha vinto Trump).

Il Texas sosteneva poi che eventuali modifiche alle norme sul voto per posta avrebbero dovuto essere decise dai parlamenti statali, e non dai governatori: eppure anche in Texas le norme sul voto per posta sono state modificate direttamente dal governatore. Ancora, il Texas sosteneva che le possibilità di Biden di vincere nei quattro stati in questione erano inferiori a una su un milione di miliardi. Il numero probabilmente era stato scelto chiedendo a una bambina di tre anni “dimmi il numero più grande del mondo!”.

Che poi, in tutto questo, che c’entra il Texas? Lo stato più autonomo e indipendentista di tutti si mette a sindacare sulle leggi che gli altri stati hanno deciso di darsi, giuste o sbagliate? I Repubblicani, che dagli anni Sessanta insistono senza sosta sul primato del potere degli stati sul governo federale, ora vogliono che un ente federale interferisca con le leggi dei singoli stati, per giunta quelle che regolano il voto? Il Texas diceva che queste decisioni influenzano la situazione nazionale e quindi la cosa li riguardava. Sarebbe stato persino divertente: domani la California e New York avrebbero cominciato a contestare in tribunale le leggi del Texas in materia di l’ambiente, per fare solo un esempio tra mille.

I brogli sembrano non esserci perché sono stati fatti così bene che non si vedono. Capite? Come quegli elefanti rosa invisibili che sono in questo momento nel vostro salotto. Non li vedete? Eccerto, sono invisibili. È la prova che ci sono. Questo è il livello.

 

Se era sbagliato chiedersi che impatto avrebbe avuto questa causa sulle elezioni, qual è la domanda giusta? La domanda giusta è: cosa significa, cosa ci dice, l’esistenza di questa causa? Perché Joe Biden sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti, avendo vinto le elezioni, ma questo non vuol dire che si possa stare tranquilli.

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