Tomorrow – S04E52

Siamo alla fine di un anno che non dimenticheremo mai. E per quanto esistano fondate ragioni per sperare in un 2021 più semplice e allegro del 2020, niente di quello che è successo quest’anno sparirà: ci serve un po’ di coraggio, quindi, per affidarci alla speranza invece che al pessimismo. Su questo gli americani possono insegnarci qualcosa. Non che oggi non siano tristi e preoccupati, certo, ma in generale sanno guardare al futuro con fiducia e hanno un rapporto profondo con la speranza, sia sul piano nazionale che su quello personale. Ci tenevo quindi a raccontarvi due storie che possono dimostrarcelo: una è molto recente, l’altra molto antica.

L’ho fatto nella nuova puntata del podcast di Da Costa a Costa, che trovate gratis su tutte le piattaforme di podcast, da Spotify a Spreaker, da Apple Podcasts a Google Podcasts.

Ascolta “S04E26. Tomorrow” su Spreaker.

Già, perché siamo arrivati alla fine della quarta stagione di Da Costa a Costa: sia la newsletter che il podcast si fermano qui, almeno per un po’. Quindi cominciamo con le comunicazioni di servizio, e poi passiamo alla ciccia.

Da Costa a Costa finisce perché dal 2015 questa è la struttura di questo progetto giornalistico, che va avanti a stagioni con pause tra una stagione e l’altra. Un po’ perché mi piacciono le cose che hanno un inizio e una fine, e mi piace avere tempo di ragionare prima di progettare una nuova stagione. Un po’ perché questo è un lavoro che ho sempre svolto nel poco tempo lasciato libero dalla mia professione principale, quella di vicedirettore al Post, e ho bisogno di rallentare: vorrei dirvi che sono andato a dormire o mi sono alzato alle quattro del mattino soltanto due o tre volte al mese, per lavorare a Da Costa a Costa, ma sarebbe una grossa bugia.

Non avrei potuto fare questi sacrifici più volentieri di così, sia chiaro. Durante quest’anno la comunità di persone che leggono e ascoltano Da Costa a Costa, e ne rendono possibile l’esistenza con il loro sostegno e il loro interesse, si è allargata moltissimo. Le persone iscritte a questa newsletter erano quindicimila all’inizio dell’anno: oggi sono più di cinquantamila. I miei follower su Instagram sono passati da diciottomila a oltre centotrentamila. Pochi giorni fa il podcast ha superato i due milioni di episodi scaricati o ascoltati in streaming. Insomma, siete diventati tantissimi. Non so dirvi ancora se e quando ci sarà una quinta stagione, ma immagino che ci sarà.

In ogni caso, non ci perderemo di vista. Prendendomi qualche rischio, infatti, durante l’estate ho iniziato a scrivere un nuovo libro. È un libro che parte da due premesse, che argomento nel testo. La prima è che il potere non cambia le persone, ma le rivela per quello che sono. La seconda è che c’è qualcosa nelle vite di Joe Biden e Kamala Harris che parla al momento particolare che stanno attraversando gli Stati Uniti. Per questo ho voluto raccontare cosa dobbiamo aspettarci. Cosa li guida. Quali errori hanno fatto. Quali lezioni ne hanno imparato. Soprattutto, quali pezzi della storia americana hanno attraversato. Nel libro racconto del misterioso fortissimo aumento della criminalità avvenuto dopo gli anni Settanta e del funzionamento del sistema sanitario, delle rivolte di Los Angeles del 1992 e della devastante crisi economica del 2008, della campagna elettorale del 2020 e di molto altro.

Il libro si intitola Una storia americana e uscirà il 19 gennaio per Mondadori, ma potete già pre-ordinarlo in libreria o sugli store online. I pre-ordini sono molto importanti per il successo di un libro: se sapete già che lo acquisterete, se avete trovato interessante Questa è l’America, se questa stagione di Da Costa a Costa vi è stata utile, valutate la possibilità di pre-ordinarlo subito.

Poi. Devo un ringraziamento particolare ai tanti di voi che con le loro donazioni – del tutto facoltative, e nonostante questo numerose – hanno voluto retribuire il mio lavoro, oltre che permettermi di pagarne tutte le spese. In tempi di grande sfiducia per il giornalismo e di grande crisi per i suoi modelli di business, Da Costa a Costa è sempre stato anche un tentativo di provare un nuovo approccio: i contenuti vengono tutti distribuiti gratuitamente, i lettori e gli ascoltatori pagano se vogliono, quando vogliono, quanto vogliono. L’esperimento ha funzionato. All’inizio del 2021 con calma farò un po’ di conti sulle donazioni che ho ricevuto, e vi scriverò per darvi un po’ di dati e informazioni. Se per tutto l’anno avete rimandato il momento della donazione, avete ancora qualche giorno. Se avete impostato una donazione ricorrente mensile, sarà interrotta da me alla fine del 2020.

Vi sono debitore: per tutto questo ma non solo. Durante quest’anno complicato, infatti, Da Costa a Costa ha scandito le vostre settimane quanto le mie. Nei momenti più difficili, sapere che il sabato avreste aspettato di leggere o ascoltare il risultato del mio lavoro mi ha ancorato alla realtà, mi ha fatto sentire utile, mi ha dato uno scopo. Leggere i vostri commenti, i vostri racconti e le vostre risposte intelligenti, competenti, affettuose, mi ha ripagato di ogni fatica. Ci siamo tenuti in una gran compagnia, e per questo vi ringrazio dal profondo del mio cuore. Se volete restare aggiornati sui miei progetti futuri, vi consiglio di non cancellare l’iscrizione a questa newsletter: sarà attraverso la newsletter che tornerò a farmi sentire per raccontarvi qualcosa di nuovo. Se volete continuare a seguire con me le cose americane anche nel 2021, seguitemi su Instagram.

Ora possiamo cominciare. Questo è Da Costa a Costa.

Di solito, questo è un periodo dell’anno particolarmente sonnacchioso per la politica americana. Il Congresso ha sospeso i lavori per le festività, e i parlamentari sono tornati a casa nei loro collegi. Il presidente ha lasciato la Casa Bianca e si è spostato temporaneamente in una delle sue residenze di villeggiatura, dedicando al lavoro meno tempo del normale. Se poi è in corso una transizione da un’amministrazione all’altra, come quest’anno, il clima dovrebbe essere ancora più tranquillo: chi esce sta già preparando gli scatoloni, chi entra è concentrato su quello che accadrà dal 20 gennaio in poi. La quiete prima della tempesta.

Dato che siamo nel 2020, però, quest’anno il menu prevede soltanto tempesta.

La settimana scorsa vi avevo raccontato di come il Congresso fosse alle prese con due importanti questioni. La prima era la legge che stanzia ogni anno il budget per il governo federale, senza la quale da lunedì il governo letteralmente non può più spendere soldi. Di solito non si arriva così agli sgoccioli, perché la mancata approvazione della legge impedisce di tenere aperti tutti gli uffici federali, dai ministeri ai tribunali, dalle biblioteche ai parchi, e di pagare gli stipendi di quasi 800.000 persone. È il cosiddetto shutdown.

La seconda questione era una legge che stanzi un po’ di soldi per aiutare gli americani e sostenere l’economia in questa fase così difficile.

Dato che la prima legge va approvata per forza mentre la seconda no, in Congresso sia i Democratici che i Repubblicani hanno deciso di attaccare la seconda alla prima: e dopo mesi di trattative, qualche giorno fa sono arrivati a un accordo e l’accordo è stato rapidamente convertito in legge. Martedì è stata approvata a larghissima maggioranza un’unica legge che stanzia 900 miliardi di dollari per il sostegno agli americani e 1.400 miliardi di dollari per finanziare le attività del governo federale. Una legge lunga 5.593 pagine, piena di moltissime cose, votata dalla gran parte dei Democratici e dei Repubblicani.

Così tante cose che bisogna portarla in giro col carrellino. Prima di stamparla è meglio accertarsi di non aver finito la carta.

Cosa c’è dentro questa legge, innanzitutto: un sussidio di disoccupazione da 300 dollari alla settimana fino al 14 marzo, a integrazione di quelli versati dai singoli stati; un assegno una tantum da 600 dollari per ogni persona nel 2019 ha guadagnato meno di 75.000 dollari; prestiti agevolati alle piccole e medie imprese; fondi per organizzare ed eseguire le vaccinazioni contro il coronavirus, e altri da versare agli stati perché siano utilizzati nel tracciamento dei contatti dei malati; il divieto per le compagnie assicurative di sfruttare vizi di forma per caricare sui clienti costi vessatori per le prestazioni sanitarie; una moratoria sugli sfratti per i primi mesi del 2021.

Ma c’è anche molto altro, soprattutto nelle misure che puntano a stimolare l’economia: nuove restrizioni sull’uso di idrofluorocarburi (gas impiegati nella refrigerazione), 35 miliardi di dollari in investimenti nella creazione di energia pulita, 7 miliardi per le connessioni a banda larga nei posti che ne sono ancora sprovvisti, l’allargamento dei criteri attraverso i quali gli studenti meno abbienti possono chiedere al governo di sobbarcarsi parte delle proprie spese universitarie e l’estensione di questo programma anche alle persone detenute iscritte all’università.

Una legge così sterminata, e che per essere approvata ha richiesto negoziati così lunghi tra due partiti mai così distanti, contiene naturalmente anche moltissime altre cose più piccole che hanno trovato posto solo per convincere questo o quel parlamentare a dare il suo voto favorevole. Non è il massimo, ma sapete come si dice: ci sono due cose che è meglio non sapere come vengano fatte, le salsicce e le leggi. Inoltre, la paralisi del Congresso, il gridlock di cui vi parlavo nella precedente puntata del podcast, ha conseguenze ben peggiori e costi ben più grandi di qualsiasi stanziamento superfluo, soprattutto in un momento economico come l’attuale: se il prezzo da pagare per sbloccare l’attività legislativa a Washington fosse dare qualche contentino qui e lì, avanti così.

Questo almeno è quello che si augura l’entrante amministrazione Biden, che pur considerando questa legge un inizio – servirà stanziare altri soldi col nuovo anno – ha spinto perché si arrivasse all’approvazione, anche convincendo i Democratici ad allentare le loro resistenze: Nancy Pelosi qualche mese fa diceva che non avrebbe accettato uno stanziamento inferiore ai tremila miliardi, si è dovuta accontentare di molto meno. Dall’altra parte, i Repubblicani per mesi non hanno nemmeno voluto discutere di sussidi di disoccupazione e assegni una tantum, figuriamoci norme a favore del clima: le hanno accettate.

La legge contiene anche istruzioni precise sulle policy da seguire quando avverrà la reincarnazione del Dalai Lama e una serie di norme sulle corse dei cavalli. Meglio non fare domande.

La Casa Bianca ha lasciato fare al Congresso, limitandosi a dare la propria approvazione informale all’accordo una volta siglato. Quando la legge è arrivata sulla scrivania del presidente per la firma che avrebbe sancito la promulgazione, però, Donald Trump si è opposto. Ha definito l’accordo «una disgrazia», sostenendo che la legge contenga sprechi e spese non necessarie, prendendosela soprattutto con gli aiuti verso i paesi in via di sviluppo, e chiedendo al Congresso di rimettere mano alla legge aumentando la cifra da versare una tantum da 600 a 2.000 dollari.

Nancy Pelosi è saltata sulla sedia, visto che 2.000 dollari era la sua richiesta iniziale, respinta dai Repubblicani: se ora i Repubblicani ci stanno, ha detto, noi possiamo emendare la legge e votarla di nuovo anche subito. Ma i Repubblicani hanno detto: manco per idea. Questo accordo è stato raggiunto dopo mesi di negoziati, cambiare una parte vuol dire riaprire il discorso su tutto. Inoltre, non è affatto detto che questa sola modifica convinca Trump a firmare la legge.

Intanto il tempo stringe. I sussidi integrativi attualmente esistenti scadono oggi. Senza la promulgazione della legge, non sarebbero rimpiazzati. Inoltre, lunedì il governo federale andrebbe in shutdown. Senza contare che non partirebbero gli assegni e tutti gli altri interventi previsti per gli americani in difficoltà. Il tutto sotto Natale. La situazione è resa ulteriormente più complessa dal fatto che Trump finora non ha messo il veto alla legge, ma si è semplicemente rifiutato di firmarla. Se il presidente non mette il veto, dopo dieci giorni dall’approvazione la legge entra in vigore: ma solo se il Congresso è ancora in sessione. Altrimenti, la legge salta.

La mossa di Trump non sembra avere una logica. Se mettesse il veto, i Democratici e i Repubblicani avrebbero i numeri per far passare la legge comunque. Se non dovesse metterlo, o se quei numeri non ci fossero più alla luce della sua opposizione, inevitabilmente gli americani finirebbero per giudicarlo l’unico responsabile del mancato stanziamento degli aiuti. La legge sarebbe presentata e approvata nuovamente a gennaio, e sarebbe Joe Biden a prendersene il merito.

Qual è il senso, allora? La stampa americana e i giornalisti che seguono la Casa Bianca raccontano che Trump è ormai in modalità “burn-it-down”. Muoia Sansone con tutti i Filistei, diremmo noi. Trump è furioso per aver perso le elezioni ed è arrabbiato soprattutto con i parlamentari del Partito Repubblicano, che a suo dire non hanno fatto abbastanza per ribaltare l’esito del voto. È arrabbiato con Mike Pence che il 6 gennaio dovrà presiedere la seduta del Congresso che certificherà il risultato delle elezioni e non è disposto ad annullare tutto (non potrebbe, tra l’altro, neanche se volesse). Ce l’ha a morte con William Barr, il suo procuratore generale appena andato via, che questa settimana di nuovo ha ribadito che non esiste alcuna base per aprire indagini sul voto del 3 novembre.

«Questa mossa non riguarda il contenuto della legge», ha scritto Politico. «È la reazione di chi si sente abbandonato». Lo stesso vale per la legge che stanzia i fondi per l’esercito, su cui Trump ha messo il veto per due ragioni veramente insignificanti: il fatto che permetta di cambiare i nomi delle basi militari intitolate ai generali secessionisti e che il fatto che non contenga la norma che lui chiede da anni per far causa ai social network, e in particolare a Twitter. È impossibile dire come andrà a finire.

È tutto esposto in maniera piuttosto trasparente nel flusso di coscienza perenne di Trump su Twitter.

Questa settimana sulla stampa statunitense sono usciti molti articoli preoccupati per i giorni che ci separano dall’insediamento di Joe Biden. Trump è più furioso che mai, e in questo momento è consigliato e circondato soltanto dai più estremisti tra i suoi collaboratori. Gli altri raccontano ai giornalisti che evitano di passare dallo Studio Ovale e gli stanno alla larga il più possibile, nel timore di subire una sfuriata o di ricevere ordini che non vorrebbero dover eseguire.

I cronisti più informati, come Maggie Haberman sul New York Timeshanno raccontato che alcuni di questi collaboratori gli hanno suggerito di dichiarare la legge marziale, cioè di fare un colpo di stato in piena regola. Altri propongono di mettere sotto sequestro tutti i macchinari usati nelle operazioni di voto del 3 novembre. Sydney Powell, l’avvocata secondo cui le elezioni sono state rubate a causa di un complotto di cinesi e venezuelani, così sciroccata che persino Rudy Giuliani si è dissociato da lei, ha chiesto a Trump di nominarla procuratrice speciale perché indaghi sui presunti brogli elettorali.

Come vi ho raccontato altre volte, niente di tutto questo ha vere possibilità di realizzarsi. Bisogna escludere qualsiasi collaborazione da parte dei militari, per esempio, così come di tantissimi funzionari della Casa Bianca. Ma per la prima volta nella storia degli Stati Uniti abbiamo notizia di un presidente che ha discusso la possibilità di fare un colpo di stato militare per restare al potere. Per quel che sappiamo di lui, avendolo conosciuto negli ultimi cinque anni e avendolo visto negli ultimi 50 giorni, sappiamo che se ce ne fossero le condizioni, se i militari fossero dalla sua parte, Trump lo farebbe.

E questo ci porta a un’altra questione.

Lo so, questa faccia non vi dice niente. Ancora per poco.

Come previsto, e come storicamente fanno i presidenti prima di lasciare la Casa Bianca, Trump sta emanando molti provvedimenti di clemenza. Detenuti graziati, pene commutate, fedine penali ripulite. Questo genere di provvedimenti di solito tocca persone con profili o storie ben precise. Persone condannate a pene lunghissime in ragione di leggi che nel tempo sono state superate. Persone che hanno iniziato una nuova vita, di cui è noto il pentimento, che si sono date da fare per aiutare gli altri, che sono diventate in qualche modo un esempio. Oppure persone che hanno commesso dei reati in nome di un qualche bene superiore, e poi non si sono sottratte alle conseguenze della legge: fu il caso di Chelsea Manning, l’analista della Difesa che passò dati e documenti riservati a Wikileaks e uscì dal carcere per decisione di Barack Obama poco prima della fine del suo mandato.

Di solito i candidati alla grazia sono vagliati dal dipartimento di Giustizia, ma Trump ne ha ignorato le raccomandazioni. Le persone che Trump sta graziando o a cui sta commutando la pena non hanno quel genere di storia. L’unica cosa che davvero le accomuna è che sono quasi tutti amici, alleati, parenti e sostenitori dello stesso Trump. Ci sono Paul Manafort, Roger Stone, George Papadopoulos e Alex van der Zwaan, che si erano dichiarati colpevoli nell’indagine sul Russiagate, i cui effetti penali sono stati ormai smantellati. Ci sono tre ex deputati del Partito Repubblicano condannati per corruzione, appropriazione indebita e insider trading. Ci sono quattro criminali di guerra, condannati per aver fatto una strage di civili in Iraq.

E c’è l’uomo della foto qui sopra: Charles Kushner, padre di Jared Kushner, il marito di Ivanka Trump. Kushner, che è stato graziato, era un importante immobiliarista del New Jersey che all’inizio di questo secolo ebbe grossi problemi giudiziari: nel 2004, dopo essersi dichiarato colpevole, fu condannato per 18 capi d’accusa, tra cui evasione fiscale, false dichiarazioni dei redditi, donazioni politiche illegali e intimidazione di testimoni.

Quest’ultima parte è quella più curiosa. Durante le indagini, infatti, Kushner scoprì che sua sorella e il marito di sua sorella stavano collaborando con i procuratori. Allora contattò una prostituta che conosceva, e la pagò perché lei – omettendo che fosse una prostituta – seducesse il marito di sua sorella e se lo portasse a letto. Il rapporto sessuale avvenne, in una stanza allestita da Kushner e piena di videocamere. Kushner spedì poi a sua sorella la cassetta che mostrava il rapporto sessuale di suo marito con la prostituta. Che ambientino la famiglia Kushner, chissà che pranzi di Natale.

Ho scritto una cosa su Instagram a proposito dei quattro criminali di guerra che Trump ha graziato, e di quei meme secondo cui Trump sarebbe stato un presidente “pacifista”.

Davanti a una storia come questa, o a quella dei criminali di guerra che trovate qui sopra, è legittimo chiedersi se non debbano esistere leggi e norme che impediscano a un presidente di prendere decisioni come queste. Io credo però che la domanda, per quanto legittima, sia impropria: e credo anche che sia significativa la frequenza con cui è emersa nel corso di questi quattro anni. Il sistema politico e istituzionale americano ha mille aspetti che potrebbero funzionare meglio, ve ne ho parlato a lungo. Ma quello che stiamo vedendo non è la conseguenza di una legge che non funziona. Qualsiasi legge lascerà sempre un margine discrezionalità al presidente, figuriamoci sull’uso di uno strumento come la grazia, e ci mancherebbe se non fosse così. Lo stesso vale per le chiacchiere sulla legge marziale. Quello che è stiamo vedendo è la conseguenza di avere eletto alla presidenza una persona come Donald Trump. Le elezioni hanno conseguenze.

Qualche altra notizia in breve, e poi ci salutiamo.

– Non ci sono novità significative sul grande attacco informatico che hanno subìto gli Stati Uniti, probabilmente dalla Russia (o meglio, tutti dicono che sia stata la Russia, compresi gli esperti indipendenti, l’intelligence e il segretario di Stato, ma Trump ha scritto su Twitter che chissà, magari è stata la Cina). Joe Biden ha detto che l’attacco andava avanti addirittura «dall’anno scorso», e non da marzo come si era ipotizzato inizialmente. Gli hacker hanno penetrato il sistema di posta elettronica del Dipartimento del Tesoro, uno dei più protetti visto che governa l’economia americana e i mercati finanziari, spiando decine di caselle email di alti funzionari. Non è ancora chiaro quante informazioni siano state rubate.

– Con i due ballottaggi previsti in Georgia per il 5 gennaio, si deciderà se i Democratici potranno avere la maggioranza anche al Senato oppure no. Una roba grossa. Anche in questo caso si può votare per posta e in anticipo, e i dati dicono che la partecipazione è rimasta su livelli paragonabili a quelli delle presidenziali: una cosa incredibile per due ballottaggi. Non solo: ci sono quasi sessantamila persone che hanno già votato ai ballottaggi e non avevano votato alle presidenziali (che furono decise da uno scarto di tredicimila voti). I due candidati del Partito Democratico hanno raccolto in donazioni più di 100 milioni di dollari a testa soltanto nell’ultimo trimestre del 2020. I candidati dei Repubblicani quasi la metà. Sondaggi ce ne sono pochissimi, a questo giro, ma qui trovate qualche dato. Sono praticamente pari.

– C’è stato un attentato a Nashville, ieri. Un camper pieno di esplosivo, parcheggiato in centro, è saltato in aria: l’esplosione è stata molto forte, ci sono venti edifici coinvolti. Ma era Natale, per fortuna, e in centro ci sono solo uffici vuoti e negozi chiusi: pare ci siano stati solo tre feriti. I testimoni hanno raccontato di aver sentito rumore di spari, prima del botto, e dal camper è stato diffuso ad altissimo volume un messaggio registrato che avvertiva dell’esplosione imminente, e poi contava alla rovescia da quindici minuti fino a zero.

– Twitter ha deciso che quando l’account istituzionale “POTUS” passerà da Donald Trump a Joe Biden, non conserverà tutti i suoi followers ma ripartirà da zero. È una scelta bizzarra, perché quelli non sono i followers di Trump (che infatti ereditò quelli di Obama) ma i followers dell’account istituzionale della presidenza degli Stati Uniti. Conoscendo quanto Trump sia sensibile al tema, non escludo che Twitter abbia preso questa decisione per cercare di rabbonirlo.

– Qualche nuovo dato demografico sugli Stati Uniti, in attesa di affondare le mani nei risultati del censimento che si è tenuto nel 2020. Il primo non vi stupirà, purtroppo: non erano mai morti così tanti americani come quest’anno, più di tre milioni. Mi fa effetto soltanto scriverlo. Qualche dato meno lugubre: gli stati in cui la popolazione proporzionalmente è aumentata di più tra il 2019 e il 2020 sono l’Idaho, l’Arizona, il Nevada, lo Utah e il Texas. Gli stati in cui è diminuita di più sono New York, Illinois, Hawaii, West Virginia, Mississippi. Chi è che da anni vi dice che il motore dell’America si sta spostando a ovest?

– Più di un milione di americani sono stati già vaccinati contro il COVID-19. Il governo ha comprato altre 100 milioni di dosi da Pfizer, dopo il guaio con gli ordini di cui vi avevo raccontato due settimane fa. Sia il vicepresidente Pence che il futuro presidente Biden sono stati vaccinati a favore di telecamera. Il presidente Trump non ancora: il medico della Casa Bianca ha detto che preferiscono aspettare per via dei trattamenti sperimentali a cui è stato sottoposto quando ha contratto la malattia.

Dunque, eccoci arrivati alla fine. Dopo un anno come quello che abbiamo vissuto, in Italia e in tutto il mondo, una fotografia del nuovo presidente degli Stati Uniti a cui viene somministrato il vaccino contro il coronavirus mi sembra una buona nota su cui chiudere. Devo un ultimo ringraziamento a due amici, Carlo e Marco, che col loro lavoro prezioso hanno migliorato il mio. A Silvia, che quest’anno è andata a dormire da sola tutti i venerdì, ha sopportato le mie sveglie agli orari più crudeli e mi ha dato forza e pura felicità ogni singolo giorno. E a tutti voi, ancora una volta: siete stati un pezzo insostituibile di questo viaggio. Cercate di star bene.

Mancano 1.410 giorni alle prossime elezioni americane.

A presto!
Francesco

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